mercoledì 2 febbraio 2011

LE DONNE: UN ALTRO MODO DI GOVERNARE LE AZIENDE - Intervento introduttivo di Luisa Pogliana all'incontro di Milano


(Milano, 3 febbraio, 18.30, Casa di Vetro, via Sanfelice 3)

Dico rapidamente da dove arriva e cosa vuole essere questo incontro. Essere donna e manager è stata la mia vita di lavoro. Via via che vivevo questa esperienza sentivo il bisogno di ragionare su questa realtà. Così ho coinvolto in un percorso di riflessione altre donne manager, e questo è poi diventato il libro Donne senza guscio. Libro che ha suscitato molti incontri di discussione nell'ultimo anno e mezzo. Ad un certo punto mi sono resa conto che c'era un forte bisogno di andare avanti soprattutto a proposito del rapporto con il potere in azienda. Un punto che risultava particolarmente problematico. Su questo si è sviluppato uno scambio intenso con alcune donne, che ci ha portate a costituire questa piccola associazione, come strumento per continuare a ragionare e mettere in circolo pensieri e pratiche sulla specificità del nostro lavoro. Abbiamo cominciato proprio dal rapporto con il potere in azienda, attraverso colloqui con donne manager, che con il potere si confrontano ogni giorno. E vogliamo proporre questo tema di discussione anche ad altre donne interessate, con incontri come questo.

Comincio dunque a proporre alcuni punti di partenza. La presenza delle donne in azienda nelle posizioni dirigenziali, ha portato una forte novità, anche rispetto a non molti anni fa. Ed è che le donne cercano un personale modo di esprimere il loro ruolo senza appiattirsi sui modelli maschili dominanti, in cui non si ritrovano. Le donne si rapportano al lavoro prima in base alla propria soggettività, alla propria visione, ed è a partire da lì che si confrontano con norme e modelli. Emerge così una differente visione del lavoro, del modo di essere manager e dell'azienda stessa. Mi limito qui a dire che la differenza delle donne si manifesta sostanzialmente in un atteggiamento complessivo, che è la prevalenza della persona sul ruolo, e il rifiuto della scissione tra lavoro e il resto della vita. E' a partire da questo che le donne mettono in atto tentativi di cambiare le regole aziendali, e avanzano proposte di cambiamento. Proposte per permettere di lavorare meglio, tenendo conto della vita delle persone e traendone vantaggi anche per l'azienda. Bisogna allora chiedersi perché, nonostante la ragionevolezza e razionalità di questi cambiamenti, rimane molto difficile realizzarli. La mia risposta è che qui entra in gioco la questione del potere in azienda, e di chi lo detiene. Possiamo vedere questa affermazione con un esempio importante: l'organizzazione del lavoro. Tra le donne vi è una forte convergenza critica rispetto ai modelli organizzativi, creati storicamente dagli uomini a loro misura, con rigidità e ritualità oggi insensate. Soprattutto la richiesta di una presenza fisica in ufficio illimitata, a prescindere dalle reali necessità. A questo le donne contrappongono un sistema premiante fondato sul lavorare e valutare per obiettivi. Criteri, dunque, che non comportano aggravi per le aziende. Eppure le resistenze da parte dei vertici aziendali sono nette. La ragione sta nel fatto che i vertici aziendali, chi ha il potere in azienda, sono oggi quasi esclusivamente uomini. Che decidono modelli organizzativi funzionali alla loro concezione, funzionali all'attuazione e al controllo di quelle regole che loro considerano le uniche possibili. Allora se pensiamo che le proposte delle donne siano solo ragionevoli soluzioni pratiche, sbagliamo. L'organizzazione del lavoro non è solo uno strumento tecnico per fare funzionare l'azienda, ma serve in buona parte al vertice aziendale per mantenere il suo potere, attraverso un modello fondato su pianificazione e controllo. Questo è il modello dominante nelle aziende, ed è infatti un modello tipicamente maschile: perché definisce il mondo aziendale attraverso un'astrazione, dove tutto è stato messo in un posto definito, e ciò che non è contemplato non si può fare (come, per esempio, la gestione flessibile dei tempi di lavoro proposta dalle donne). Attenendosi a questa astrazione si pensa di poter controllare tutto, e si arriva piuttosto a non vedere più la realtà che si ha sotto gli occhi. Sono questi meccanismi che le donne rifiutano, e con le loro proposte improntate alla concretezza svelano e vanno a toccare il modo in cui le aziende agiscono.Un modo che continua a riprodursi, perché nei luoghi dove si decidono le politiche aziendali, le donne non ci sono. Dunque il volere delle donne si scontra con il potere degli uomini. Così molte hanno maturato questa consapevolezza: che occorre porci il problema di come aprire più spazi alla nostra visione, che oggi non trova posto nei contesti aziendali. Che occorre non lasciare che chi ha il potere continui a riprodurre l'attuale visione dell'azienda e delle sue regole.

Questo ci porta alla questione problematica, perché mentre le donne sui propri obiettivi e visioni ci sono idee molto chiare, nel rapporto con il potere manifestano una forte difficoltà. Rispetto al potere aziendale, molte donne vivono una incapacità di rapportarsi, una estraneità che porta a chiamarsene fuori. In questa estraneità gioca la nostra inesperienza storica su questo terreno, il fatto che le aziende funzionano in maniera non trasparente, ma anche una diversa concezione del potere. Forse qui troviamo una potenzialità. Quando le donne dicono che non sanno gestire il potere, o che non sono interessate, forse dicono qualcosa in più: che non lo vogliono così com'è, che non accettano modalità e obiettivi in cui non si ritrovano. Forse esprimono in concreto che questo non è il miglior sistema di potere. Com'è il potere che vediamo messo in atto nelle aziende?

Il potere oggi è sostanzialmente detenuto da uomini, e dunque si esprime con codici, manifestazioni simboliche, finalità e modalità d'azione maschili. E' un potere di dominio e di controllo, quindi è legato alla conservazione, alla difesa dell'esistente. Compresa la difesa del proprio potere: gli uomini usano il potere come strumento di promozione personale, prima che per perseguire interessi aziendali. Gli interessi di parte, in questo caso la parte degli uomini, prevalgono anche sugli interessi dell'azienda e dell'economia, non solo sugli interessi delle donne. Le donne, in prevalenza, sono interessate al potere di fare, sono più orientate a curare gli interessi aziendali rispetto ai propri (intendendo l'azienda come l'insieme di chi la costituisce). E' già una importante differenza, ma con questo orientamento al fare spesso le donne finiscono per lavorare molto e poter decidere poco. Emerge però ora tra le donne un'idea che va oltre questo limite, un'idea di 'potere' come possibilità, possibilità di agire, di far succedere le cose. In questo io vedo un potere costruttivo, generativo, che cambia e che trasforma.

Questa visione, più che una cultura di potere, esprime una cultura di governo. Questa mi sembra la parola più adatta. Perché indica un'idea di guidare e prendersi cura dell'azienda -e delle persone che vi lavorano-, non di dominarle . Di dirigere non con il comando e l'autorità, ma con l'autorevolezza. Il governo, la guida, la cura, sembrano tre parole prese dall'esperienza delle donne. Eppure sono tre parole che, ovviamente dette in inglese, ricorrono nel vocabolario di management: governance, leadership, take care. Ma come tali sono piuttosto imbalsamate e svuotate del senso originale. Se proviamo a lasciarle nella nostra lingua, vicine al vocabolario delle donne, vediamo che sono tre allontanamenti concreti dal modo astratto di intendere il potere nelle aziende, tre assunzioni di responsabilità. Diciamo chiaramente che non si tratta di porsi l'obiettivo di occupare ruoli di potere al posto degli uomini, comunque. Non si tratta di prenderci una quota più ampia nella gestione aziendale lasciando intatto il quadro di riferimento, gli obiettivi e le modalità di funzionamento. Se più donne occupano posti di potere, senza cambiarne la concezione e le finalità, e anche dimenticando di essere donne, senza una relazione reale e simbolica con le altre donne, non cambia niente. C'è invece una grande possibilità di cambiamento, per le donne e per tutti, se si porta questa diversa idea del governo delle aziende là dove si decidono le politiche aziendali, se i ruoli decisionali si incarnano in un corpo e in una testa consapevole di donna.

Per me questo è il passaggio che abbiamo davanti ora: passare da un difficile rapporto con questo potere ad assumerci la responsabilità di fare la nostra parte nel governo delle aziende, a tutti i livelli. Ecco, sappiamo bene cosa ci aspetta, le difficoltà, i tempi, le questioni da capire. E non sappiamo invece bene come fare. Il come fare dobbiamo trovarlo, e dobbiamo trovarlo insieme, perché possiamo contare solo su noi stesse. Ma dobbiamo alzare la nostra asticella. Posso dirlo con le parole di un'altra donna, Alessandra Rizzi: dobbiamo diventare regine, non principesse.


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