mercoledì 29 dicembre 2010

Un commento al saggio di Lea Melandri sulla 'femminilizzazione dl lavoro', nel libro "L'emancipazione malata"

Qualche mese fa presentai il mio libro Donne senza guscio alla casa della Cultura di Milano, e Lea Melandri venne a parlarne. Ora ha chiesto a me di commentare, nello stesso posto, il libro collettivo a cui lei ha contribuito, L'emancipazione malata. Due libri di donne che parlano di donne e lavoro. C'è un senso in tutto questo.Ed è che il lavoro è ormai una dimensione imprescindibile nella vita di molte donne, e per questo può costituire il nuovo punto di incontro delle donne. Ma al tempo stesso il lavoro ci segmenta, perché le diverse collocazioni comportano problematiche, analisi e risposte differenziate. Lavorare sullo specifico del proprio lavoro non significa separarsi ma affinare e ampliare gli strumenti.Prendo dalla prefazione del libro: “La grande differenza di lavori, dal precariato a quello manageriale- fa oscillare le analisi e gli atteggiamenti dal rifiuto del lavoro alla ricerca della 'costruzione di sé' anche nel lavoro”. Io parlo dunque dall'ottica della mia esperienza, le donne in posizioni direttive in azienda.

In questo libro sono stati posti alcuni nodi importanti, anche se poi io ne ho una visione diversa. Mi interessa soprattutto soprattutto il saggio di Lea sulla femminilizzazione del lavoro, e mi interessa parlare di questo: che cosa di diverso portano le donne in azienda? come si manifesta la loro differenza? Ci sono aspetti di cui si parla molto, come la competenza emotiva, l'attenzione alle persone, la capacità di relazioni: le donne effettivamente hanno queste attitudini molto più degli uomini. Ma la differenza femminile e il suo valore in azienda non si può ricondurre a un elenco di skill specificate (e limitate), come tenta di fare la cultura dominante in azienda. Perché così si tende a confinarle in certi ruoli, a fondare una nuova divisione sessuale del lavoro. Dice Lea: L'occupazione di spazi pubblici da parte del femminile è avvenuta con la riproposizione di stereotipi propri della dominazione maschile, un femminile costruito dall'uomo – non esclusa la tentazione di dare un segno positivo". Certo, occorre guardarsi da un 'accoglimento' della diversità limitato solo agli aspetti e ai modi che possono essere integrati negli schemi -aziendali e culturali- già dati.Ma altrettanto dobbiamo guardarci dal non vedere il valore e le potenzialità di cambiamento delle differenze che le donne portano in azienda e nel management.La differenza femminile, per me, si manifesta soprattutto in un atteggiamento complessivo, che è la prevalenza della persona sul ruolo. Le donne si rapportano al lavoro prima in base alla propria specificità, alla propria soggettività, alla propria visione, ed è a partire da lì che si confrontano con norme e modelli definiti. Si rapportano al lavoro come persone intere, senza scissione tra ruolo e persona.

Così esprimono uno stile attento alle persone, che fa leva su motivazione, coinvolgimento, valorizzazione. Un modo di esercitare il proprio ruolo non come potere di comando e controllo, ma come un modo di governare, attraverso la guida e la cura. Qualunque ne sia l'origine, che mi importa poco, oggi è un atteggiamento che nel management caratterizza le donne, e da cui derivano molte potenzialità di cambiamento delle norme oggi dominanti. Facciamo un esempio. Le donne esprimono una forte critica dei modelli organizzativi attuali, soprattutto per quanto riguarda la rigida gestione del tempo. Lo fanno partendo dalla propria esperienza, dove realizzarsi nel lavoro non significa rinunciare a tutto il resto della vita. Così riformulano i modelli organizzativi, mostrando che è possibile una gestione flessibile che tenga conto delle esigenze reali dell'azienda, ma anche di quelle della persona.L'organizzazione del lavoro, oggi, è invece definita secondo una visione maschile: come un modello astratto del funzionamento dell'azienda, finalizzato al controllo, per cui non sono concepibili eccezioni e diversità. E' così difficile da cambiare perché non è un semplice fatto organizzativo, ma una manifestazione del potere maschile. Il potere in azienda è detenuto da uomini, e si esprime con codici, manifestazioni simboliche, finalità e modalità d'azione maschili. Che sono spesso l'opposto di ciò che vediamo venire dalle donne. Per questo anche a fronte di esigenze economiche, la reazione dei vertici aziendali non è la valorizzazione delle differenze, ma la normalizzazione. Ovvero accettare solo alcuni aspetti della diversità femminile come un'aggiunta utile ma innocua rispetto ai modelli dominanti. Gli interessi di parte, la parte degli uomini, prevalgono anche sugli interessi dell'economia. Lea aggiunge: “Se oggi il sistema ha tanto bisogno del valore D, perché tanta resistenza alle carriere femminili? C'è dentro l'economia capitalista un residuo patriarcale che ne frena lo sviluppo. I dirigenti che hanno il potere di decidere sono uomini, che non hanno alcun interesse a lasciarsi crescere al fianco una potenza femminile più libera e forte di quella conosciuta nel privato”. Allora io dico: se non hanno interesse a lasciarsi crescere al fianco una potenza femminile libera e forte, abbiamo interesse noi a farlo. Non si tratta certo di porsi 'semplicemente' l'obiettivo di entrare nei luoghi del potere. Che più donne prendano posti di potere, senza cambiarne la concezione e le finalità, dimenticando di essere donne, senza una relazione reale e simbolica con le altre donne, non cambia niente. Ma si tratta invece di vedere la possibilità di cambiamento, per le donne e per tutti, se si portano queste diverse concezioni del governo dell'azienda, della guida e della cura delle persone nei ruoli dove le politiche aziendali vengono decise, se questi ruoli si incarnano in un corpo e in una testa consapevole di donna. Cito ancora Lea: L'ingresso di donne nei ruoli manageriale accende la speranza di poter ridefinire con un segno proprio poteri e regole organizzative della produzione”. Ecco, io ritengo che oggi questo sia un punto molto importante nelle discussioni che stiamo facendo sul nostro rapporto con il lavoro. Per me queste parole sono vere, sono una reale potenzialità, e non un'illusione.

L’emancipazione malata. Sguardi femministi sul lavoro che cambia. Edizioni Libera Università delle Donne, Milano, 2010




mercoledì 8 dicembre 2010

Caltanissetta: Un intervento sui temi di 'Donne senza guscio' al Convegno FIDAPA, Camera di Commercio, Confindustria

Lunedì 13 dicembre, dalle 9.30 per tutta la giornata, presso la Sala Convegni della Camera di Commercio di Caltanissetta si terrà il Convegno di FIDAPA, con il Comitato Imprenditoria Femminile della Camera di Commercio e con Confindustria, "Le donne guardano al futuro".
Una interessante occasione di discutere del lavoro delle donne in azienda e nelle professioni, in una realtà dove i passi avanti su questo terreno fanno i conti con molti problemi.
Un intervento sugli obiettivi del convegno è stato affidato a Luisa Pogliana, a partire dai temi del libro Donne senza guscio.

martedì 23 novembre 2010

Microsoluzioni: un bel libro di Isabella Covili

Ogni situazione lavorativa è inevitabilmente connotata da ostacoli, tensioni e complicazioni, sia in contesti di importanza cruciale, sia, soprattutto, nella quotidianità. Le piccole storie di questo libro raccontano episodi critici di vita lavorativa, diversi fra loro ma sempre affrontati con positività e leggerezza. La levità di questo approccio consente di portare alla luce messaggi profondi e molto chiari che, se letti e interpretati con attenzione, costituiscono l’ossatura di uno stile manageriale. Ogni racconto cela un aspetto teorico che prende corpo attraverso il comportamento dei protagonisti. Il paradigma classico per cui la teoria indica il modo di agire è così sovvertito, a favore di una prospettiva ribaltata, dove sono le azioni dei singoli a definire la teoria. Le soluzioni, spesso micro, sorprendentemente efficaci nella loro semplicità, diventano stile. Senza enfasi, con concretezza ed umiltà.

E' così il libro appena uscito di Isabella Covili, Microsoluzioni. Piccole storie esemplari di vita d'azienda (Prefazione di Enzo Spaltro, intervista di Francesco Varanini. Guerini, 2010).

Storie che nascono dalla sua esperienza nella direzione del personale. Ogni racconto è una piccola luce su un tema: lo stile manageriale, la direzione del personale, e le donne. Comprese quelle della sua famiglia, una vera genealogia di donne che lavorano e si trasmettono l'amore per quello che fanno. Quando ho cominciato a leggere i racconti, man mano che vedevano la luce, mi sono subito sembrati come certe fiabe, che parlano di streghe e incantesimi da rompere, ma in reltà ti dicono com'è la vita e come puoi cavartela. Solo che le fiabe non mi piacciono perché lavorano sul fantastico, questi racconti sì, perché sono immersi nella concretezza dei fatti quotidiani. E Isabella ha un occhio folgorante per capire cosa c'è nella banalità.

Mi ricordo, per esempio, come è nato questo concetto delle Microsoluzioni. Ero nel mezzo del lavoro che sarebbe diventato Donne senza guscio. Mi invitò a cena, ci eravamo appena conosciute. Le dissi i miei dubbi, l'insicurezza enorme che provavo, e di come guardavo a certe donne che su questi problemi -la vita delle donne in azienda- avevano senpre una soluzione pronta. "Non c'è una soluzione -mi rispose- ci sono mille microsoluzioni". Mi ci sono così riconosciuta che è diventato subito il titolo di un capitoletto del mio libro.

Ma quando dico a Isabella di scrivere qualche sua riflessione, dice che non le viene niente. Con lei bisogna parlare, allora dice cose che non sa nemmeno di pensare. Nemmeno i racconti voleva pubblicare. Mi ci sono voluti mesi per condurla sull'obiettivo. Esempio tipico di come le donne non vedono il loro valore e bisogna proprio che ci mettiamo a farcelo vedere reciprocamente.

Ecco come Isabella coglie un dettaglio essenziale: basta leggere il racconto sul verbale. Era un episodio raccontato nella sua intervista per Donne senza guscio, e l'ho poi sentito citare spesso negli incontri che ho fatto per discutere del libro. Molte donne vi si riconoscevano: nel problema e nella risposta. Il commento più bello è di Giovanna Galletti, che lo definisce 'un imprevisto simbolico' capace di spostare la realtà (il suo bel commento si trova in questo blog, v. presentazione alla Casa della Cultura di Milano).

Mi piace come il libro finisce. Un finale molto adatto a noi. Isabella racconta di come arrivi stanchissima dopo un viaggio di lavoro, entra a salutare i genitori nel loro negozio, e una cliente la compatisce "Poverina!". Ma suo padre ribatte: "Perché poverina? Fa un lavoro che le piace".


sabato 13 novembre 2010

Due iniziative di CNA di Modena: incontro sui temi del libro e seminario con le imprenditrici

Mercoledì 17 si terrà a San Felice (Modena) un incontro organizzato dalla CNA di Modena sui temi del libro Donne senza guscio. Appuntamento alle ore 20.30 nella Rocca Estense.

Giovedì 18 a Modena un seminario con le donne imprenditrici di CNA su "Il valore di un diverso orientamento: vantaggi e difficoltà nella leadership femminile"

lunedì 18 ottobre 2010

Il singolare diventa plurale: l'esperienza del libro continua in un'associazione.

Donne senza guscio è stato innanzitutto un libro, attorno al quale si sono sviluppati molti momenti di discussione e di incontro, di scambi tra donne che sentivano l'esigenza di ragionare su questi temi e trovarne strumenti di cambiamento.
Con alcune in particolare lo scambio è stato forte, ha sviluppato una relazione fondata su interessi e desideri comuni, così come comune è la nostra esperienza di lavoro di dirigenti in azienda.
Da qui abbiamo maturato l'idea di unirci in un'associazione, come contenitore di queste esperienze, relazioni, scambi ed elaborazione di pensiero e di azione su questa realtà.
L'associazione donnesenzaguscio ora esiste, e qui cominciamo a presentarla, in attesa di avere il tempo di presentarci un po' più approfonditamente anche come persone, e magari con un sito.
Intanto continuiamo a darci appuntamento in questo spazio, che da oggi diventa non più solo il mio spazio individuale di comunicazione, ma lo spazio dell'associazione, dei suoi pensieri e attività.
Qui a fianco l'associazione e le sue socie si presentano.

martedì 5 ottobre 2010

Cinquant'anni dopo: quote e chi portare in quota

Esattamente cinquant'anni fa la corte costituzionale accoglieva il ricorso di Rosanna Oliva e apriva le carriere in magistratura, nella prefettura e nella diplomazia anche alle donne. Sì, perché allora alle donne era sbarrato l'accesso a queste professioni. Rosanna Oliva voleva accedere al concorso per diventare prefetto e fu respinta, ma non si fermò.
Qualcuno ricorda di aver mai sentito parlare di Rosanna Oliva? Eppure noi le dobbiamo un atto di giustizia e un'apertura di libertà per tutte noi donne. Non solo in quelle carriere. Il valore concreto e simbolico di quell'atto è enorme: una donna che si è presa sul serio, e ha saputo dire 'perché io no?' . Cambiando, in questo modo, un pezzo di realtà.
Bisogna ricordarselo oggi. Perché non è ancora vero che tutte le carriere sono realmente aperte alle donne.
Proprio in questo periodo sta seguendo il suo iter parlamentare una proposta di legge che impone di riservare alle donne un terzo dei posti nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa (oggi, secondo Consob, sono il 6,2 per cento).
Naturalmente di questa legge si discute molto. E in queste discussioni mi colpiscono due cose.
Innanzitutto le donne interessate, che appartengono al mondo aziendale e manageriale, in modo diffuso hanno cambiato parere su questo provvedimento.
Cinque anni fa, un'indagine condotta su donne in posizione di leader nelle imprese italiane diceva che erano nettamente contrarie alle quote rosa: pensavano che il 'merito' sarebbe stato riconosciuto dalle aziende, perché nel loro interesse. La stessa indagine quest'anno dice che quasi tutte hanno cambiato idea: il potere aziendale, saldamente territorio maschile, non cede davanti al merito. Basta vedere qualcuno dei molti dati disponibili.
Nell'industria privata le donne sono la metà dei quadri, ma tra i dirigenti il rapporto tra donne e uomini diventa di 1 a 6 (Federmanager 2010). Una smentita al fatto che il merito viene premiato è in un semplice indicatore: la percentuale di donne dirigenti fra il 2004 e il 2007 è cresciuta di un solo punto. Tutte incapaci, in quella metà di quadri?
Gli interessi di parte, la parte degli uomini che si tengono ben stretta la loro quota -totale- di potere, prevalgono sugli interessi aziendali e dell'economia.
La richiesta di quote nasce da qui: se la cultura aziendale non cambia nemmeno a fronte di benefici per il business, bisogna forzarla con un'imposizione legislativa. In questo modo le aziende sarebbero costrette a cercare le eccellenze femminili presenti nel mercato.
La seconda cosa che mi colpisce è una preoccupazione spesso manifestata da uomini manager: questa legge, dicono, li costringerà a dare posti importanti a donne non all'altezza.
Curioso che ci si preoccupi di avere una quota di 'incompetenti' donne: perché, vorrei chiedere, nella nostra esperienza quotidiana vediamo solo uomini nei CDA e dirigenti in generale con eccelse doti professionali? Qual è la quota attuale di uomini incompetenti, mediocri o mediocrissimi, che vediamo accedere a carriere che nulla hanno a che vedere con il merito? E quante donne eccellenti vediamo restare fuori? E' la cooptazione maschile nel potere che funziona, molto più della professionalità.
E comunque -ammesso che si arrivi a questa legge, con partiti che non hanno posto quote reali neppure al loro interno- è ragionevole pensare che, una volta aperta la breccia, sarà più possibile che ci entrino anche le meritevoli oggi tenute fuori.
Tuttavia credo che la questione in gioco e su cui occorre concentrarsi vada ben oltre questa legge. Le leggi sono efficaci se sanciscono un cambiamento che si è riusciti a creare nella società e nella cultura. E c'è ragione di credere che la proposta di legge italiana. più che a convincimenti economici, sia dovuta alla forte presenza delle donne nel mercato del lavoro qualificato, donne che in vari modi premono e hanno fatto sentire la propria voce.
Dunque quello che realmente è in gioco è una questione di potere. Potere maschile, che oggi controlla saldamente le aziende e impone la sua cultura e i suoi interessi (come potrebbe incidere quella ridottissima minoranza di donne oggi nei CDA?).
Ma proprio per questo si pone anche la questione del rapporto delle donne con il potere in azienda. Perché per molte è un rapporto difficile, problematico.
Nel lavoro di ricerca e negli incontri che ho fatto recentemente su questi temi in molte parti d'Italia, ho trovato una convergenza forte nelle esperienze: l'incapacità di gestire i rapporti politici, di capirne i meccanismi e il funzionamento è uno dei limiti principali che le donne si attribuiscono, individualmente e collettivamente. Agire rispetto al potere in azienda significa scendere su un terreno estraneo all'esperienza collettiva delle donne, di cui non si ha esperienza sedimentata, perché da sempre le donne ne sono state escluse. Una difficoltà che le porta a chiamarsene fuori. Cosa positiva sotto il profilo di non accettare modalità e obiettivi che non ci corrispondono. Ma limitante, se in questo modo si lascia che chi ha il potere continui a riprodurre l'attuale visione dell'azienda e delle sue regole, spesso penalizzanti proprio per le donne.
E il potere è oggi detenuto da uomini, e si esprime con codici, manifestazioni simboliche, finalità e modalità d'azione maschili. Rispetto a questo potere manchiamo spesso di un'analisi adeguata dei suoi meccanismi e non abbiamo chiarezza su cosa vogliamo e sui nostri possibili diversi strumenti. E' qui che io trovo la questione più importante.
Non si tratta di porsi 'semplicemente' l'obiettivo di entrare nei luoghi del potere. Si tratta di ragionare su come aprire spazi alle donne con una diversa visione del potere e del governo delle aziende, una visione che oggi non trova posto nei contesti aziendali.
La domanda importante è: quali donne vogliamo che entrino in questi luoghi del potere, per fare cosa, con quale visione dell'azienda e del lavoro -delle donne e di tutti- ?
Parto da un esempio concreto. Nei mesi scorsi la PWA (Professional Women Association) con l'Osservatorio Bocconi ha individuato e proposto un gruppo di donne che hanno le caratteristiche per entrare a buon diritto nei CDA: Women Ready for Board. Come dire: ecco qua, le donne che non volete vedere ci sono. Una buona iniziativa.
Eppure alcune considerazioni sono state inevitabili guardando ai nomi proposti. Soprattutto una: alcune di quelle donne sono note a molte di noi per il loro atteggiamento assimilato a quello maschile, con una condivisione dell'idea e dell'uso dominante del potere in azienda. O per una lontananza dai bisogni e dalle concezioni delle donne rispetto al lavoro (per esempio, ponendo loro stesse l'aut aut alle altre colleghe tra carriera e altri aspetti della vita). Certo, è difficile procedere con criteri perfetti, l'importante è cominciare con proposte concrete, quindi qui non si vuole affatto criticare di per sé l'iniziativa. Si vuole piuttosto riportare l'attenzione su un nodo cruciale.
Non ci importa solo che più donne arrivino a occupare posti da cui è possibile governare l'azienda. Se queste donne non hanno una diversa idea di potere e di governo, se non si rapportano praticamente e simbolicamente con le altre donne che lavorano, il loro arrivo ai vertici sarà buono per loro, sarà comunque un messaggio simbolico utile, ma non serve a cambiare la cultura aziendale. Cambia qualcosa se in quei ruoli arrivano donne con un diverso modo di essere manager, che cercano di cambiare quelle regole che oggi penalizzano le donne e rendono la vita impossibile a tutte e a tutti.
Per arrivare a questo obiettivo è il momento, per noi, donne nelle aziende, di fare un salto di qualità. Quello che dobbiamo affrontare, senza deleghe a nessuna legge, è assumerci la responsabilità di fare la nostra parte, a modo nostro, nella classe dirigente aziendale.
Cinquant'anni dopo, è di nuovo il momento di prenderci sul serio, di dire: perché io no?

Luisa Pogliana

Scritto per Direzione del Personale

sabato 11 settembre 2010

FOR: una recensione di Renata Borgato

FOR, Rivista per la Formazione, ha pubblicato sul numero 83 del 2010, una recensione di Donne senza guscio fatta da Renata Borgato, per la rubrica 'Recensioni per la Formazione'. Mi ha interessata particolarmente, in questa lunga recensione, che il libro venga considerato per diversi aspetti anche uno strumento da utilizzare in incontri di formazione.
Grazie a Renata per aver messo a fuoco questo taglio.

mercoledì 30 giugno 2010

Unicredit: intervista sul libro per il settimanale on line internazionale

L'incontro del 14 giugno a Torino, realizzato da UWIN Unicredit Women International Network, di cui ho parlato in un post precedente, è stato di grande interesse.
Circa 120 donne hanno partecipato, e molte sono poi venute ad esprimermi il loro apprezzamento. Ho trovato di alto livello la tavola rotonda sviluppatasi dalla presentazione dei contenuti del mio libro. Gli interventi dei manager della banca hanno fatto riferimento alle azioni concrete che si stanno facendo rispetto all'obiettivo di avere nel 2018 il 50% di donne in tutte le strutture della banca. Sarebbe utile riprenderli e farli conoscere ampiamente.
Io ho trovato rilevante -un punto essenziale quando un'azienda avvia programmi di questo tipo- il fatto che i manager responsabili dei diversi settori sono valutati anche in base ai risultati specifici che ottengono su questo obiettivo. La testimonianza di
Paolo Cederle, Head of Group ICT & Operations, e Stefano Giorgini, Responsabile Direzione Commerciale Toscana sono state proprio relativi agli strumenti con cui hanno ottenuto i loro risultati in quest'ambito. Monica Poggio, Head of Corporate Culture, ha ampiamente presentato varie implicazioni di questo programma, di cui lei è responsabile nazionale. Manuela D’Onofrio, Head of Unicredit Private Banking Global Investment Strategy, ha anche parlato di come vede lei -donna e manager di alto livello- questi problemi e il modo di affrontarli anche personalmente.
Sono stata molto contenta di una presenza non prevista, che assume un bel valore simbolico oltre che reale: ha portato un saluto Monica Cellerino, appena diventata responsabile del'area Lombradia, prima donna nominata tra le sette persone che ricoprono questo ruolo di vertice.
Dopo l'incontro sono stata intervistata a proposito del ibro per il settimanale internazionale on line di Unicredit, che arriva in tutti i paese dove opera la banca. Intervista che riporto qui sotto.
Di tutto questo devo ringrazire ancora molto tutto il direttivo regionale di UWIN, in particolare la Responsabile Monica La Cava, e Mariella Crosio che ha proposto il mio libro per questa iniziativa.


Versione italiana
http://uninews.unicredit.it/it/articoli/page.php?id=12690
Versione internazionale inglese http://uninews.unicredito.it/en/articles/page.php?id=12706
UniNews:  settimanale di UniCredit Group
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28 Giugno 2010 Donne senza guscio

Sono tanti gli ostacoli che le donne manager incontrano in azienda, un luogo in cui il gruppo che esercita il potere è storicamente maschile. Qualche cambiamento tuttavia si avverte, grazie all'emergere di una nuova consapevolezza, al (lento) affermarsi della responsabilità sociale, al crescente interesse per il diversity management. Aumenta (lentamente) il numero delle donne in ruoli chiave, ma le difficoltà restano. E la più grande è il senso di solitudine e isolamento che cala sulle donne mano a mano che avanzano lungo i percorsi di carriera. Perché le donne entrano in azienda senza la protezione di un'appartenenza consolidata.
Questo scenario ha ispirato una ricerca che ha coinvolto trenta donne manager e che è stata raccontata da Luisa Pogliana nel volume Donne senza guscio, pubblicato con i tipi di Guerini e Associati. Dalla ricerca emerge un approccio femminile al management. Misconosciuto, faticoso ma efficace. Un approccio che ricorda a tutti una verità ovvia (ovvia?) ma profonda: la carriera non è che un pezzo di una vita intera, dove lavoro e affetti appartengono a un unico armonico insieme.
Il libro parla di lavoro, di carriera e riconoscimenti, di rapporti con il potere e delle micro soluzioni che ogni donna riesce a trovare nella situazione specifica. Parla dei vari tipi di organizzazione, dei rapporti con le altre donne e dei rapporti all'interno della famiglia. Argomenti inflazionati? Forse, ma la modalità di scrittura scelta dall'autrice, insieme al prezioso contributo delle storie di vita riportate, permette di non cadere in una teorizzazione sterile, tutt'altro! Trasmette calore umano e lo si percepisce specialmente quando le esperienze vissute non sono state rosee e l'alternanza di sentimenti più o meno positivi sembra far nascere il dubbio, poi smentito, che "forse non ne vale la pena".
L'autrice è prima di tutto una delle donne di cui si parla nel libro: prima di iniziare l'attività nella ricerca psico-sociologica, ha diretto per molti anni le Ricerche di Mercato del gruppo Mondadori, con cui collabora sui mercati internazionali e ha svolto ruoli in enti internazionali e nella European Commission per studi strategici. Ha fondato la rivista Sebben che siamo donne e oggi svolge attività relative al management femminile.
I temi della ricerca sono stati oggetto di una tavola rotonda, organizzata dal Comitato UWIN di UniCredito presso UniManagement, alla quale ha partecipato l'autrice, intervistata a conclusione dei lavori da Andrea Ranghieri per UniNews.

Luisa PoglianaCosa si prefigge questo libro? Cosa l'ha spinta a scriverlo?
Ho vissuto la maggior parte della mia vita lavorativa in una grande azienda italiana, leader nel suo settore. Per molti anni sono stata dirigente, direttore di una staff. Essere donna e manager è stata la mia vita di lavoro. Via via che vivevo le soddisfazioni e la rabbia, il piacere e gli ostacoli, maturava il desiderio di scrivere di questo.
Per documentare e discutere una realtà aziendale ancora molto limitante verso le donne. Ma anche per cogliere i comportamenti e le pratiche positive che le donne, senza vittimismi e senza deleghe, mettono in atto per realizzare un cambiamento.
Così ho pensato di coinvolgere altre donne manager in queste riflessioni, con una ricerca da cui è nato il libro.
"Donne senza guscio": che significato ha il titolo?
La prima cosa che ho trovato in queste donne è stata la ricerca di un personale modo di realizzarsi nel lavoro senza appiattirsi su modelli dominanti. Che sono modelli maschili, definiti e consolidati quando in azienda c'erano solo uomini, data la rigida divisione sociale del lavoro tra uomini e donne.
Per questo ho pensato al titolo Donne senza guscio. Il granchio, quando cresce, abbandona il vecchio guscio, e nell'attesa che si formi un nuovo guscio più adatto al suo corpo mutato è vulnerabile. Ma altrimenti soffocherebbe. Ecco, allo stesso modo le donne accettano il rischio di abbandonare modelli manageriali consolidati ma a loro inadatti, per cercarne uno a loro misura.
Questo è il punto di partenza, perché vuol dire che le donne oggi sono consapevoli della differenza che portano nel lavoro. E a questa differenza attribuiscono un valore non solo per sé, ma anche per l'azienda.
Quali sono i punti di forza delle donne?
Innanzitutto direi la diversa concezione del lavoro e della carriera. Le donne amano il loro lavoro, perché lo vedono come una prospettiva di autorealizzazione.
Ancora oggi le aspettative della società non chiedono alla donna l'affermazione nel lavoro, che invece per l'uomo è imprescindibile. Dunque per la donna la decisione di seguire un percorso professionale di alto profilo nasce da una forte motivazione personale.
Si potrebbe dire che mentre un uomo deve, una donna sceglie di fare carriera. Questo le rende molto determinate.
Quale equilibrio si configura allora tra carriera e femminilità?
Ma che cos'è la femminilità in azienda? Qualche volta si costruiscono definizioni che diventano ingabbianti. Facciamo un esempio: le donne sanno curare le relazioni, si dice. E allora per loro va bene l'area HR, ma non gli stabilimenti. Invece ogni donna ha le sue competenze, attitudini, stile.
Credo allora che questa domanda si possa riferire all'aspetto più dirompente in cui si manifesta la differenza delle donne in azienda, la maternità. Che da sempre è stata il principale ostacolo allo sviluppo di carriera per una donna.
A questo proposito, nell'atteggiamento delle donne verso il lavoro, che abbiamo visto, c'è un aspetto molto importante: il lavoro è imprescindibile, ma non a scapito del resto della vita, è inserito in un progetto di vita intero. La carriera è concepita come una molteplicità di realizzazione, che richiede grandi fatiche ma a cui non si vuole rinunciare.
E le donne dicono che è possibile. Perché il momento in cui si deve allentare la presenza sul lavoro per la maternità, è transitorio e definibile con chiarezza, le tecnologie aiutano a rimanere in contatto con l'attività, la motivazione a continuare il percorso professionale è forte.
Certo che devono districarsi tra un'organizzazione del lavoro rigida -e questo chiama in causa l'azienda, come abbiamo visto- e i sensi di colpa verso i figli. Qui invece bisogna riuscire a liberarsi dai condizionamenti sociali. In realtà ci si sente in colpa non perché si lavora, ma perché si lavora con piacere. E questo contrasta con il modello di madre sacrificale ancora così radicato nella società. Invece una madre realizzata nei suoi desideri porta più ricchezza e più felicità anche nel rapporto con figli e figlie. E loro sono orgogliosi di avere una mamma così, apprezzano di essere cresciuti con una forte autonomia e capacità di cavarsela nella vita. Non è un'opinione mia: sono i risultati di una ricerca che ho realizzato recentemente parlando con figli e figlie di mamme dirigenti.
Quali sono gli aspetti più significativi della managerialità nelle donne?
Ci sono aspetti ricorrenti, derivanti dalla diversa esperienza di vita e visione del mondo. Per esempio, il tema su cui ho trovato una fortissima convergenza è l'organizzazione del lavoro. I modelli organizzativi vengono riformulati soprattutto per quanto riguarda la gestione del tempo, un fattore sempre critico per le donne, dato che hanno le maggiori responsabilità nella gestione familiare. Dunque si denunciano rigidità e ritualità insensate, anche per l'azienda, come la richiesta di presenza in ufficio illimitata, a prescindere dalle reali necessità. E' il fenomeno del face-time: mettersi in mostra invece di lavorare effettivamente per l'azienda. Contro queste carriere presenzialiste, si chiede un sistema premiante fondato sul lavorare per obiettivi ed essere valutate in base al loro raggiungimento. Questo consentirebbe una gestione flessibile della presenza in ufficio, senza costi aggiuntivi, e risolverebbe molti problemi, anche legati alla maternità.
Un altro aspetto che si mette in discussione è il funzionamento poco trasparente delle organizzazioni. Le donne non ci sono nei luoghi del potere, dove si decidono le loro sorti professionali: così prospera la cultura delle cooptazioni tra uomini, dato che il gruppo che esercita il potere è maschile.
Ci sono altri elementi frequenti nel modo di essere manager delle donne, ma non credo sia utile definire un modello femminile di managerialità, contrapposto a quello maschile e altrettanto stereotipato. La via femminile alla leadership forse sta semplicemente in questo: essere se stesse nel ruolo, non assumere atteggiamenti forzati. Solo così si può dare il meglio di sé.
Ma allora il vero obiettivo non è parlare del valore dell'individuo, della persona?
Ogni individuo ha un suo valore specifico, porta una diversità che bisogna saper valorizzare. Ma il problema è, ancora oggi, che nelle aziende non si riconosce valore alla differenza delle donne. Anzi, è spesso ritenuta una inadeguatezza rispetto al modello manageriale dominante.
Invece le donne hanno cominciato a interpretare in modo personale il ruolo di manager, a mettere in atto tentativi di cambiamento di quelle regole aziendali che ostacolano le loro potenzialità, convinte di portare una ricchezza in più in azienda.
Direi, dunque, che le donne mostrano concretamente la necessità di valorizzare e integrare diversi modelli, perché il mondo è cambiato, l'azienda è cambiata, il mercato è cambiato.
Ecco, credo che queste pratiche innovative possano rafforzarci nella fiducia di trovare percorsi praticabili di cambiamento, utili per le donne e utili per l'azienda, nonostante un contesto ancora molto sfavorevole.

lunedì 28 giugno 2010

Un incontro realizzato da CNA Impresa Donna di Modena

DONNE SENZA GUSCIO: L’IMPRESA DI ESSERE DONNA SUL LAVORO

Mercoledì 30 giugno, ore 19.00 Castello di Montecuccolo - Pavullo

Soddisfazione e rabbia, crescita e ostacoli affrontati quotidianamente. Questa è l’esperienza maturata da Luisa Pogliana come dirigente in una grande azienda. Questa esperienza, assieme al desiderio di raccontarla, ha dato l’avvio ad una ricerca che ha coinvolto trenta donne manager che con le loro storie portano alla luce le difficoltà - superate con ironia, determinazione ed intelligenza - che ostacolano ingiustamente la vita femminile.

Attorno a queste esperienze si svilupperà l’incontro-aperitivo con l’autrice di Donne senza guscio, il titolo del libro scaturito dalla ricerca.

Assieme a Luisa Pogliana ci saranno Susanna Benatti, imprenditrice Presidente di CNA Impresa Donna, ed il giornalista Ermes Ferrari.

Ne parleremo nello splendido contesto del Castello di Montecuccolo, a Pavullo, da poco restaurato, nel corso di un aperitivo che ci consentirà anche una visita gratuita alle mostre di Raffaele Biolchini e Gino Covili.

Anche di questo ringrazio Impresa Donna di Modena, e Benedetta Burali che ha curato la realizzazione dell'evento.


sabato 12 giugno 2010

Tavola rotonda sui temi del libro: Un'iniziativa tra le attività di UWIN di Unicredit.

Unicredit è una delle aziende italiane più impegnate in un progetto di valorizzazione delle donne in azienda. Il progetto, con il nome di UWIN (Unicredit Women International Network), riguarda tutti i paesi in cui questo gruppo bancario è presente. In Italia è affidato alla responsabilità di Monica Poggio. Sono molto grata all'azienda, e in particolare alle donne del direttivo piemontese del network, per avermi chiamata a partecipare alle attività di questo progetto.

UWIN - NORD OVEST Presenta:
“DONNE SENZA GUSCIO – Percorsi femminili in azienda”
Lunedì 14 giugno 2010 - UniManagement – Via XX Settembre 29 – Torino
17.00 Presentazione ospiti e apertura dell’incontro – Ugo Morelli
17.15 Donne senza guscio - Percorsi femminili in azienda – Luisa Pogliana
17.45 Tavola Rotonda - Donne in carriera? Il punto di vista delle donne:
non carriera ma percorso inserito in un progetto di vita più ampio
i modelli organizzativi attuali e la ricerca del work-life bilance
il rapporto con il potere, un terreno ancora difficile per le donne
18.45 La parola alla platea
Interverranno:
Luisa Pogliana Scrittrice e consulente
Ugo Morelli Psicologo e Docente di psicologia del lavoro
Monica Poggio Unicredit Group – Head of Corporate Culture
Manuela D’Onofrio Head of Unicredit Private Banking Global Investment Strategy
Paolo Cederle Unicredit Group – Head of Group ICT & Operations
Stefano Giorgini Unicredit Banca – Responsabile Direzione Commerciale Toscana

giovedì 3 giugno 2010

Lavoro e discussione sul libro al liceo scientifico di Valle Mosso

Una bellissima iniziativa mi aspetta martedì 8 mattina a Valle Mosso, in provincia di Biella. Fatta da un preside, che considero un bell'esempio di tante persone bravissime che troviamo in giro per l'Italia, persone che lavorano con grande intelligenza e competenza, conservando ottimismo e passione in questi tempi. Persone di cui non si parla mai.
Adalberto Codetta Raiteri è preside dell'Istituto Istruzione Superiore del Biellese Orientale, che comprende tra l'altro il liceo scientifico tecnologico di Valle Mosso. Ha fatto lavorare le ragazze e i ragazzi delle diverse classi sul testo del libro, cercando temi e brani di loro interesse. Martedi discuterò con loro a partire proprio da questo lavoro. Sono solo 70 tra ragazze e ragazzi, dovrei farcela. Poi ne parliamo. Inutile dire quanto sono grata, e ammirata, al preside Codetta.

Incontro sul libro con CNA Impresa Donna di Reggio Emilia

Impresa Donna della CNA di Reggio Emilia ha organizzato un incontro sui temi del libro Donne senza guscio, mercoledì 9 giugno, alle 18.30, in Piazza San Prospero nel centro storico di Reggio Emilia. La presentazione rientra nel ciclo "Aperitivi letterari", nell'ambito di un progetto più complessivo: http://www.cnare.it/it/notizie/unioni-e-raggruppamenti/cna-commercio/712-i-mercoledi-in-centro-storico-si-tingono-di-rosa.html.
Ringrazio molto per l'invito Elisa Bianchi, Referente provinciale di CNA Impresa Donna.

lunedì 17 maggio 2010

Un dibattito alla Libreria delle Donne: Dire ascoltare contrattare. Dare forza alle relazioni tra donne.Fare politica, contendere terreno al potere

Il Gruppo Lavoro della Libreria delle donne di Milano ti invita
sabato 22 maggio – ore 17.30, Libreria delle donne, Via Pietro Calvi 29. Milano
Dire ascoltare contrattare. Dare forza alle relazioni tra donne. Fare politica, contendere terreno al potere
Partendo dalle diverse esperienze e dai pensieri di ognuna/o, confrontiamoci in libertà sulle forme politiche di aggregazione che oggi ci sembrano utili e desiderabili per dare forza alla nostra volontà di cambiare il lavoro, cambiare la politica.

In occasione di questo incontro mi è stato chiesto un contributo, a partire dalle mie esperienze e riflessioni raccolte nel libro 'Donne senza guscio'. Ho preparato alcuni appunti, che ripartono da un incontro precedente da cui è scaturito questo.

Il cosa e il come

L'incontro di questa sera propone di ripartire da dove eravamo rimaste nell'incontro precedente, dedicato all'organizzazione del lavoro. Su questo c'era una certa chiarezza e convergenza di obiettivi, ma la domanda alla fine era: come fare per raggiungerli? Il cosa vogliamo è chiaro, il come fare per raggiungerlo è invece ampiamente irrisolto. Il nodo da affrontare, dunque, sono gli strumenti, le pratiche possibili, la questione di come rapportarsi con il potere.
E si era detto: però qualcosa si muove tra le donne, proviamo a vedere. Ripartiamo da qui.
Nessuno può avere soluzioni bell'e pronte, pratiche risolutive, ma ci possono aiutare alcune considerazioni.
1-Il lavoro delle donne è attraversato da molte cose comuni, ma i lavori per le donne sono anche diversi.
Il lavoro è ormai una dimensione imprescindibile nella vita delle donne, e c'è una consapevolezza diffusa della differenza di genere e di quello che comporta anche nel lavoro. Per questo può costituire il nuovo punto di incontro delle donne, per provocare cambiamenti. Ma al tempo stesso il lavoro ci segmenta, perché le diverse collocazioni comportano problematiche diverse, analisi e soluzioni differenziate. Per cui lavorare sullo specifico, in questo caso, non significa frammentare, ma affinare gli strumenti.
Io parlo dall'ottica della mia esperienza, le donne in posizioni direttive o qualificate in azienda.
Porto quello su cui ho ragionato con un lavoro fatto recentemente (il mio libro Donne senza guscio), e quello che ho visto e discusso in circa dieci mesi di incontri e seminari sviluppatisi attorno al libro in giro per l'Italia. Dentro questa esperienza ci sono, appunto, cose che riguardano il lavoro delle donne in generale, e altre specifiche all'ambito che ho considerato.
Ma tutte hanno hanno un nodo comune, quello del rapporto con il potere, specificamente il potere in azienda. Vediamo perché.
2- A fronte di una chiarezza di obiettivi, che si concentrano sull'organizzazione del lavoro, è molto difficile ottenerli, nonostante la loro praticabilità.
Ricordiamo infatti che le donne non chiedono vantaggi costosi orientati al 'lavorare meno', ma condizioni per poter lavorare bene pur avendo un progetto di vita intero. Dietro questo tipo di richieste -cosa importante per noi, ma dovrebbe esserlo anche per le aziende- c'è una motivazione nuova e forte verso il lavoro. Le donne amano il loro lavoro, perché concepito come strumento di autorealizzazione, non da perseguire a scapito del resto della vita, ma imprescindibile. Cercano quindi i modi per per poter avere tutto, non per liberarsi per quanto possibile dal lavoro. Per questo le richieste sono praticabili e ragionevoli, tanto che le politiche avviate su questo terreno da alcune aziende più innovative si muovono proprio in questa direzione.
Ma allora, perché questa resistenza a cambiare l'organizzazione del lavoro?
3- Occorre un ulteriore passo di chiarezza su cos'è l'organizzazione del lavoro, per spiegare, almeno in parte, perché sia così difficile ottenere cambiamenti a questo livello.
L'organizzazione del lavoro non è solo uno strumento tecnico per fare funzionare l'azienda. L'organizzazione serve in buona parte al vertice aziendale per mantenere il suo potere. Risponde al modello di pianificazione e controllo, con cui il top management esercita il potere. Modello che si attua con modalità, riti e rigidità. Ovvero, una volta definito il modello di funzionamento, tutto ciò che non è contemplato non si può fare (per esempio: non si può rendere flessibile l'orario di lavoro, anche se questo non comporta nessun incremento di costi, oppure gli aspetti di diversità portati dalle donne non possono essere accolti). Si può dire che è un modello tipicamente maschile, dove si definisce il mondo aziendale attraverso un'astrazione dove tutto è stato messo in posto definito, e a quella si fa riferimento e ci si attiene, fino a non vedere più la realtà che si ha sotto gli occhi. Perché è così che si pensa di controllare tutto, che nulla possa sfuggire: un'anomalia può mettere in discussione il modello. E' questo il nodo per tutte.
Sono questi meccanismi che le donne rifiutano, e con le loro richieste improntate alla concretezza svelano e vanno a toccare proprio il funzionamento del potere. Le resistenze al cambiamento organizzativo si radicano qui, ben più che su problemi di costi ed efficienza.
Se pensiamo che le richieste delle donne siano limitate a soluzioni pratiche (per esempio, della cosiddetta conciliazione), sbagliamo. Secondo me le donne stanno mettendo in questione chi, come e con quali obiettivi gestisce il potere in azienda.
Per questo il nodo inevitabile è il rapporto con il potere in azienda, che va ripreso ben oltre questa schematica sintesi.
4- E veniamo alle pratiche. Innanzitutto va detto che esistono due livelli su cui possiamo agire per il cambiamento.
Quello di ognuna rispetto al suo contesto e situazione, che ogni giorno si deve affrontare subito e nella sua specificità, e quindi richiede certi strumenti ed è molto legato all'individuo.
E quello collettivo, dove si pongono le questioni strategiche per tutte, che richiedono un confronto istituzionale con le controparti (le aziende e le loro associazioni, il governo), con strumenti diversi.
Ma a questo livello si arriva se si parte da una consapevolezza e da un riflessione maturata nella realtà quotidiana. E' quello che ho visto innanzitutto nelle pratiche delle donne che hanno partecipato al libro. Quello che ho trovato molto importante, è che anche a livello individuale qui le donne mettono in atto tentativi di cambiamento delle regole aziendali, di quelle regole in cui non si ritrovano rispetto al modello manageriale e organizzativo dominante nelle aziende.
C'è una grande assunzione di responsabilità individuale in questo orientamento a cambiare. Senza vittimismo e rivendicazionismo, senza deleghe e senza alibi, queste donne agiscono qui ed ora. E questo lavoro diffuso, costante e coraggioso può portare a cambiare qualcosa: la cultura aziendale non è una cosa data a cui noi siamo estranee, qualunque cosa facciamo o non facciamo la influenza.
E' una dimensione imprescindibile, anche se resta legata alla volontà e capacità della persona.
Se proviamo a guardare agli strumenti collettivi, io ho visto due realtà molto diverse.
Intorno alla questione del lavoro sono sorte moltissime micro organizzazioni di donne, anche solo comunità virtuali. Ma spesso esprimono interessi e bisogni, più che delineare pratiche: manca ampiezza di analisi e di visione che orienti il fare.
Più rilevanti sono invece le varie forme in cui le donne si associano negli ambiti professionali. Hanno costituito network di tipo professionale, hanno creato per sé ambiti specifici all'interno di di sindacati e associazioni professionali, manageriali e anche imprenditoriali (le buone prassi messe in atto nelle aziende medio-piccole da donne imprenditrici sono numerose, e da conoscere). Sono forme organizzative che hanno una loro efficacia, e possono portare proposte di cambiamento agli interlocutori istituzionali, la controparte con cui negoziare. Anche se magari con una modalità, una parzialità di obiettivi e a volte un'ideologia in cui non ci possiamo ritrovare pienamente. Però credo che tutto ciò che si muove per aprire spazi alle donne vada bene, spetta poi alle donne come usare questi spazi.
Io penso che sia questo complesso di elementi di pressione che hanno messo in discussione -in modo abbastanza diffuso- che ci sia un solo modo di concepire e di realizzare il lavoro e il funzionamento di un'azienda. Oggi di questo di discute dappertutto, anche se i risultati sono ancora minimi. Ma se qualcosa ha cominciato a cambiare, è cambiato a partire dal basso. Il cambiamento non viene mai dall'alto, se non costretto da un bisogno, da una volontà, da una forza.
5- Questo quadro, come ho detto, indica come questione centrale il rapporto con il potere aziendale.
Anche su questo tra le donne si si trova una forte convergenza, ma in questo caso problematica e irrisolta. C'è una difficoltà diffusa nel rapportarsi al potere aziendale. Manchiamo di un'analisi adeguata dei meccanismi del potere, del perché sostanzialmente tendiamo a chiamarcene fuori. Manchiamo di chiarezza su cosa realmente vogliamo e sui nostri possibili strumenti.
Diciamo che le donne non sanno gestire il potere perché forse non lo vogliono, perché hanno una diversa concezione del potere. Questo ci porta ad un diverso modo di concepire il lavoro e il modo di lavorare, ma non porta di per sé ad ottenere i nostri obiettivi, a cambiare la nostra condizione. Il potere è necessario per cambiare, ma le donne dichiarano e praticano una sostanziale estraneità, con il risultato -consapevole- che così lo si lascia agire sia a livello individuale sia a livello collettivo.
Qui si pone il problema degli spazi che le donne possono prendere nelle aziende. Degli strumenti di potere: come funzionano quelli attuali, con quali meccanismi? Cosa facciamo noi? Come diversamente possiamo costruire un nostro potere? E' su questo che bisogna lavorare senza rimandi.

Premio Biella: annuncio dei finalisti


Guerini e Associati

COMUNICATO STAMPA

Luisa Pogliana tra i cinque finalisti di Biella Letteratura e Industria 2010

Sono stati presentati il 13 maggio, nell'ambito del Salone internazionale del libro di Torino i cinque finalisti del Premio Biella Letteratura e Industria, promosso da Città Studi Biella. Il premio, unico in Italia, indaga i complessi rapporti tra due mondi solo apparentemente distanti: quello delle arti e quello dello sviluppo e del progresso industriale. Tra le 46 opere in concorso, la giuria presieduta da Pier Francesco Gasparetto ha selezionato il libro «Donne senza guscio. Percorsi femminili in azienda» di Luisa Pogliana accanto a «Orgoglio industriale» di Antonio Calabrò, «Servi» di Marco Rovelli, «Rockefeller d'Italia» di Paride Rugafiori, «L'invenzione dell'economia» di Serge Latouche.

Luisa Pogliana, già direttore ricerche di mercato per Mondadori e ora consulente per studi e formazione per il management al femminile, con la sua opera sui percorsi femminili in azienda, pubblicato dalla Guerini e Associati, rappresenta una novità nell'edizione 2010 del premio poiché per la prima volta dal 2007 approda in finale una donna. La proclamazione e la premiazione del vincitore avverrà nel centenario di Confindustria, venerdì 19 novembre 2010 presso l'Auditorium Città Studi Biella.

Ufficio stampa - Fiammetta Regis: 02/58298026 - 380/9991199- regis@guerini.it

martedì 11 maggio 2010

Un incontro alla Casa di Vetro di Milano: "Per le donne il lavoro è un'arte"

Donne della realtà: lavorare in azienda è un'arte

Giovedì 20 maggio, dalle 18,30 alla Casa di Vetro di via Luisa Sanfelice 3, Milano, Alessandra Zini store manager di IKEA Porta di Roma e sua rappresentante in Valore D, Angela Di Luciano editor de ilSole24ore, Luisa Pogliana autrice di "Donne senza guscio", intervistate da Maria Cristina Koch e da Paola Ciccioli, converseranno sul tema delle donne in azienda.
Gestire il potere, reggere il successo, vivere e raccontare il quotidiano, colleghi, impegni, tempi, senza perdersi come donne è davvero un'arte, tanto bella quanto difficile.
L'evento si concluderà con un aperitivo guarnito per continuare a discutere, ragionare e gustare le relatrici e apprezzare la mostra "Vassoi d'arte", 50 vassoi IKEA che 50 artisti hanno trasformato in opere uniche. Da un'idea di Leonardo Santoli è nata una collezione di piccole opere d'arte che interpretano un oggetto quotidiano.
www.lacasadivetro.com/2010/05/10/giovedi-20-maggio-donne-della-realta-lavorare-in-azienda-e-unarte/#more-362

Per questo incontro ho preparato alcune riflessioni su questo tema, che riporto qui di seguito.

Per le donne il lavoro è arte
Ho trovato molti aspetti che danno corpo a questa 'affermazione -'per le donne il lavoro è arte'- nel lavoro che sta alla base del mio libro Donne senza guscio. Nato innanzitutto per riflettere sulla mia vita di lavoro, passata per la maggior parte in una grande azienda italiana, come direttore di una staff. E poi per documentare e discutere di cosa vuol dire veramente essere donna e manager, in una realtà aziendale ancora così escludente verso le donne. Così, partendo da me stessa, ho pensato di coinvolgere in un percorso di riflessione altre donne che vivono la stessa situazione. Ne è nata una ricerca, e questo libro ne racconta gli esiti.
Una diversa concezione del lavoro
La prima cosa importante che ho trovato in queste donne è stata la ricerca di un personale modo di realizzarsi nel lavoro senza appiattirsi su modelli dominanti, che sono modelli maschili.
Per questo ho pensato al titolo 'Donne senza guscio', perché le donne entrano in azienda senza la protezione di un'appartenenza consolidata a questo mondo. E perché accettano il rischio implicito nell'abbandonare gusci a loro inadatti, per far crescere un guscio nuovo che permetta nel lavoro una vita a loro misura.
Questa ricerca si fonda prima di tutto su una diversa concezione del lavoro e della carriera.
E qui ci avviciniamo al tema di questo incontro. Di cosa parliamo, allora, quando parliamo di lavoro?
Colpisce subito, cominciando a parlare di lavoro, del lavoro ideale per sé, non si indica tanto uno uno specifico ambito lavorativo, ma piuttosto si definiscono in modo prioritario le caratteristiche che questo lavoro deve avere. Ovvero: non importa con precisione cosa, ma si sa molto bene come.
Innanzitutto vediamo che la scelta di lavorare è data per scontata, non solo per un'autonomia economica, ma soprattutto come strumento di libertà nella vita. Il lavoro ideale è tale se, oltre la necessità di guadagnare, è una possibilità di autorealizzazione.
“Elemento indispensabile di realizzazione”.
“Consente di esprimere e valorizzare i propri talenti. Una condizione di libertà che ci permette di fare in maniera 'eccellente' proprio quel lavoro”.
“Un lavoro in cui si possa sentirsi realizzate e realizzare qualcosa”.
Certo, lavorare è in genere necessario, ma le aspettative della società non chiedono alla donna l'affermazione nel lavoro. Per l'uomo invece il modello sociale si fonda imprescindibilmente sul lavoro. Dunque per la donna la decisione di cercare un percorso professionale di alto profilo nasce da una forte motivazione personale. Si potrebbe dire che mentre un uomo deve, una donna sceglie di fare carriera. Per questo spesso il lavoro ideale viene definito 'creativo'.
“Se non è creativo il mio lavoro non mi piace e per essere creativo per forza deve uscire dalle maglie di un'organizzazione che tende all'autoconservazione”.
“Un lavoro creativo, che consente libertà di pensiero, libertà d’azione”.
“Autonomia : poter creare, applicare la fantasia alle attività, valutare tutte le possibilità e, se utile e proficuo, poter innovare”.
“Fare qualcosa che sento mio e a modo mio”.
Creatività non intesa in senso stretto. Un lavoro è 'creativo' se permette una espressione di sé e delle proprie capacità. Ecco così subito un bello squarcio negli stereotipi: che vedono il lavoro manageriale chiuso nel mondo della razionalità, della necessità e dell’aridità economica. E che, per contrappasso, intendono il lavoro 'creativo' come para-artistico, tutto pulsioni e sregolatezza.
Il lavoro manageriale, guardato dal punto di vista delle donne, può essere creativo.
Nel descrivere il lavoro ideale ricorre molto spesso, poi, la dimensione della libertà. Anche questa concezione -il lavoro come luogo di libertà- è un bello squarcio rispetto ad altri stereotipi, che intendono il lavoro come inevitabile necessità, limitazione della propria libertà.
Se guardiamo l’origine etimologica della parola ‘lavoro’ troviamo il senso di queste due concezioni. Una rimanda al lavoro inteso come attività dura e penosa (latino labor), o addirittura come tormento (francese travail, spagnolo trabajo, portoghese trabalho, dal nome di uno strumento di tortura, il tripallium). L’altra privilegia, invece, il riferimento all’energia (tedesco Werk, inglese work), alla creazione di opere, alla realizzazione di qualcosa, e anche di sé. E' questa concezione -la costruzione di sé attraverso le proprie opere- che troviamo nel pensiero delle donne.
Il che non significa che tutte vivano una condizione idilliaca nella realtà del lavoro, anzi. Ma significa qualcosa di molto creativo: per quanto stretti possano essere i vincoli del lavoro, la persona può trarne cose buone per sé e per gli altri.
Vediamo dunque una rappresentazione del lavoro che lascia ai margini il concetto di dovere come vincolo sociale, e pone al centro, invece, il piacere. La 'creativita' sta, non a caso, nel regno del piacere. E a queste donne il loro lavoro piace. Anzi, le appassiona.
“Mi sono appassionata al lavoro e mi ci sono buttata anima e corpo”.
“Sono presa da innamoramento e passione per le cose che faccio”.
“Sono entrata in una grande azienda come addetta al personale di stabilimento, ho scoperto il contatto con le persone. E' stato amore a prima vista ”.
“Dopo varie peripezie approdo a Ferrovie dello Stato. Ma ci si può innamorare, della ferrovia. Ed è quello che è successo a me; i processi, il sistema, la tecnologia, le persone molto competenti, appassionate…”.
“Può esserci un innamoramento metaforico per il proprio lavoro. E' quanto avviene a me. Io amo il mio lavoro, quello che mi dà l'opportunità di fare”.
'Passione', 'innamoramento: non stupiscono queste definizioni, data l'importanza che queste donne attribuiscono alla possibilità di oggettivare il sé nel lavoro. Per questo, parlando di lavoro, molte usano proprio il linguaggio dell’amore.
Ecco, dunque, quanto nel modo di vivere il lavoro, e lo specifico lavoro di manager, le donne sono vicine all'arte: espressione di sé, creatività, libertà, realizzare opere, realizzare se stesse.
Mi viene in mente una frase di Andy Warhol, “The best business is art”, un ottimo affare è arte (anche se facilmente viene tradotta con “l'arte è il miglior affare”, tanto è inusuale questa idea di considerare il lavoro, e il business, come arte).
Un'arte di cui faremmo volentieri a meno
Potrei fermarmi qui, ma bisogna aggiungere qualcosa. Perché, come ho detto, la realtà aziendale è spesso tutt'altro che valorizzante dei talenti e della passione che le donne mettono nel lavoro.
Così le donne devono sviluppare un'altra forma d'arte di cui farebbero volentieri a meno: affrontare e trovare ogni giorno un modo costruttivo superare una cultura aziendale ancora penalizzante per loro. Limitiamoci ad un rapido accenno.
Pensiamo ai modelli organizzativi, creati dagli uomini a loro misura, inadatti alle differenze che le donne portano in azienda. Soprattutto per l'uso del tempo, con la richiesta di una disponibilità illimitata, con rigidità e ritualità che prescindono dalle necessità reali, invece di concentrarsi sugli obiettivi e sui risultati .
Pensiamo alla maternità, che è ancora l'ostacolo principe alle prospettive di carriera, anche se in realtà vie praticabili ci sono (Ikea insegna). Così le donne vivono vite parallele, gestendo la complessità. Ma a prezzo di grandi fatiche non sempre inevitabili.
Pensiamo anche agli atti informali quotidiani, che tendono a ribadire che le donne non hanno lo stesso valore di un uomo, a ricondurle al loro essere donna prima di tutto e a prescindere dal ruolo professionale: il mancato utilizzo dei titoli di studio e gerarchici, la richiesta di lavori ancillari, la riconduzione al corpo, il doppio codice per cui quello che è apprezzato in uomo non va bene in una donna.
Di fronte a tutto questo le donne devono trovare ogni volta un modo di reagire costruttivamente ad ogni singolo episodio. Ci vuole coraggio, sangue freddo, prontezza di spirito, intelligenza. E vediamo spesso anche la capacità di agire anche sul livello simbolico, il cui potere -proprio come fa l'arte- può modificare la realtà.
“Appena assunta come responsabile del personale in una multinazionale, vado alla prima riunione con l’ head quarter: un operation meeting mensile. Siamo in dieci, io l’unica donna. Il grande capo guarda il mio capo, il mio capo capisce e girandosi verso di me dice: 'Prende nota lei, vero?' . Il sangue ribolle, l’ira fa fatica ad essere contenuta, ma dieci anni di lavoro qualcosa hanno insegnato. 'Certamente, con piacere' rispondo. Dopo un mese, di nuovo l'operation meeting. Prima che il grande capo inizi a parlare, guardo il collega alla mia destra e gli dico 'Oggi tocca a te prendere nota, vero?'. Il mio capo spalanca gli occhi, il mio collega è paonazzo. Io sorrido a tutti come se avessi detto la cosa più ovvia del mondo. E’ così che è nata l’abitudine di prendere nota a turno”.
Dunque vediamo un quadro ancora penalizzante per le donne. Eppure, la cosa più bella che ho trovato in queste donne, è non solo l'assenza di atteggiamenti vittimisti, ma il fatto che ognuna ha ha cominciato a mettere in atto tentativi di rottura delle regole aziendali che ostacolano le loro potenzialità, senza deleghe e senza alibi. Questa, per me, è veramente una coraggiosa opera dell'ingegno. E, rispecchiandoci nelle altre, si rafforza la fiducia di poter trovare percorsi praticabili nonostante i contesti sfavorevoli. Di poter realizzare la nostra opera d'arte: noi stesse nel nostro lavoro.

Luisa Pogliana

lunedì 3 maggio 2010

Incontro a Pavia a Donne in Fiera, con ABCD Dialogandonne

Un altro appuntamento per discutere del libro, organizzato da Amiche di ABCD Dialogandonne, condotto da Isabella Landi.
L'incontro avviene nell'ambito della fiera delle imprese femminili Donne in Fiera.

Anche di questo devo ringraziare Isabella, che si è molto impegnata in tutte queste iniziative sui temi del libro.
Sabato 8 maggio, ore 16.30, Palazzo Esposizioni, Piazzale Europa, Pavia.






giovedì 29 aprile 2010

Un incontro sul libro a Borgomanero con Soroptimist, Aidda, ABCD

Giovedì 6 maggio si terrà a Borgomanero un incontro sul libro, voluto da Soroptimist Internazionale d'Italia, Associazione ABCD Dialogandonne, AIDDA Piemonte-Valle d'Aosta.
Interverranno per le tre associazioni Mariella Comazzi, Piera Giachetti e Isabella Landi.
Sono molto contenta e grata di questa nuova e interessante opportunità.
L'appuntamento è alle 18.30 alla Fondazione Marrazza, in via Marrazza a Borgomanero.

giovedì 22 aprile 2010

"Donne senza guscio" è entrato tra i cinque finalisti del premio Biella Letteratura e Industria

Bella notizia, questa comunicazione ufficiale inviata all'editore da Pier Francesco Gasparetto, Presidente della giuria del Premio Biella Letteratura e Industria.

Da: Pier Francesco Gasparetto pfgasparetto@alice.it
Inviato:
martedì 20 aprile 2010 13.45
A:
Guerini e Associati

Oggetto:
Premio Biella

Buongiorno,

ho il piacere di comunicarvi che la giuria del Premio Biella ha incluso nella cinquina finalista l'opera "Donne senza guscio" di Luisa Pogliana. Comunicazione ufficiale verrà data alla Fiera del libro di Torino giovedì 13 maggio, h. 11, Sala Avorio.

Con vive congratulazioni e cordiali saluti

Pier Francesco Gasparetto

Stando a quanto dice la stampa, i candidati erano 49, tra cui il grande Yunus. Come si fa a vincere con un premio Nobel in campo? Ma proprio per questo mi sembra già un bellissimo risultato. Per me, per tutte le donne che hanno partecipato al libro, per tutte quelle che si sono ritrovate nei suoi temi e lo hanno sostenuto.

Un seminario formativo sui sensi di colpa delle mamme: Un'iniziativa con Working Mothers Italy

Working Mothers Italy
propone
Mamme lavoratrici: tra organizzazione aziendale e sensi di colpa
Workshop formativo tenuto da Luisa Pogliana

Background e obiettivi
L'associazione Working Mothers Italy ha recentemente proposto alle sue associate un programma di attività e workshop formativi.
Uno degli strumenti proposti a sostegno della maternità e dello sviluppo professionale è il workshop “Mamme lavoratrici: tra organizzazione aziendale e sensi di colpa” organizzato in collaborazione con Luisa Pogliana a valle della sua esperienza pluriennale e ricerche svolte in merito.
Il workshop si propone di sostenere ed accompagnare le mamme nella scelta di perseguire una realizzazione personale sia nel lavoro che nella maternità.
Una realizzazione sempre difficile da attuare, ma ancor più quando si è scelto un percorso lavorativo molto impegnativo in azienda.
Da un lato, sappiamo bene che l'attuale cultura aziendale dominante, di stampo maschile, penalizza la mamma, sia per un supposto calo di rendimento permanente, sia con un'organizzazione del lavoro fondata su regole a volte inutilmente costrittive.
Dall'altro lato, uno dei nodi comuni alle mamme lavoratrici sono i sensi di colpa rispetto ai loro bambini e bambine. Ci si sente sempre di sacrificare qualcosa: tempo, attenzioni, vicinanza.
Tutto questo è inevitabile?
E' possibile una diversa organizzazione del lavoro? E' possibile scegliere tutto, non sacrificare pezzi di sé?
E, soprattutto, i sensi di colpa perché ci si sente mamme carenti, sono così fondati?
Come vivono veramente la situazione questi figli e figlie?
E' possibile che, insieme ai problemi, possano trovare nel modo di essere delle loro mamme anche qualche ricchezza in più?
Aprire ad una diversa visione di questi problemi, dare strumenti di comprensione per un miglior modo di affrontarli è lo scopo di questo workshop.
Approccio metodologico e contenuti
L'approccio fondamentale si basa sul fatto che le partecipanti possano partire da sé e dai propri problemi, per confrontarsi tra donne che condividono la loro stessa situazione.
In questo modo è possibile prendere coscienza di quanto i problemi siano comuni e non individuali, trovare un sostegno al valore delle proprie scelte, sviluppare una riflessione sia su di sé che sul contesto aziendale, e sulle pratiche possibili verso i problemi esaminati.
E' possibile arrivare ad una lettura generale e teorica dei problemi in esame, non in modo astratto ma costruita sulle esperienze concrete.
L'incontro si articolerà in due tappe.
La fase iniziale consisterà in una discussione di gruppo guidata dalla responsabile del workshop, (circa un'ora e mezza) sulle seguenti aree:
i problemi incontrati in azienda al momento della maternità, sia di tipo valutativo che organizzativo; di cosa hanno sentito più bisogno, cosa ritengono praticabile in termini di organizzazione aziendale per non penalizzare il percorso di carriera o le necessità della maternità;
qualità e quantità del tempo: organizzazione familiare; come compensano la scarsità di tempo che il lavoro lascia rispetto ai figli, come valorizzano il tempo di vicinanza;
il rapporto con i figli/le figlie: quali gli elementi di preoccupazione verso di loro, verso la capacità di continuare ad investire bene sia su di loro che sul lavoro; i sensi di colpa: come si manifestano, su cosa si fondano, come si reagisce al senso di colpa;
ruolo del padre;
trasferimento di aspetti positivi tra questi due aspetti della vita.
Al termine della discussione, verranno focalizzati dalla responsabile gli aspetti-chiave emersi, i punti ricorrenti sia nella tipologia di problemi che nell'eventuale individuazione di cause e soluzioni (durata di circa mezz'ora).
Questo sarà la base su cui si svolgerà -dopo un intervallo- la seconda parte del workshop.
La seconda fase di lavoro, per una per una lettura generale e teorica dei problemi esaminati, utilizzerà sia quanto emerso dal lavoro iniziale, sia i risultati di due ricerche recentemente condotte: la ricerca specifica sui sensi di colpa delle mamme e la parte relativa alla maternità della ricerca alla base del libro “Donne senza guscio. Percorsi femminili in azienda”.

I temi saranno focalizzati su due aree:
La cultura aziendale e l'organizzazione del lavoro: capire il modello maschile, le reazioni che suscita in noi, la colpevolizzazione rispetto all'azienda; vedere proposte di soluzioni di cui eventualmente provare ad appropriarsi.
I sensi di colpa verso i figli: cambiare prospettiva mettendo al centro i vissuti reali di bambini e bambine, ascoltando cosa dicono della professione delle mamme. Vedere così se e quanto i sensi di colpa delle mamme possano essere andati oltre il disagio reale dei figli, condizionati dalla pressione di modelli sociali.
Tra queste pressioni, un altro tipo di colpevolizzazione: quella di lavorare per piacere, per se stesse e la propria realizzazione, e non solo per dovere o necessità. Mentre questa autorealizzazione può essere in realtà una ricchezza che si comunica ai figli.
Alla fine la riflessione verrà consolidata con una discussione conclusiva su cosa abbiamo imparato e cosa ci ha dato questo incontro.

Informazioni organizzative
il workshop sarà tenuto da Luisa Pogliana
n° partecipanti: minimo 12, massimo 16- durata: 4 ore - costo: 40 € (a copertura costi)
location e date: da concordare con le partecipanti.
Per info e prenotazioni: mammealavoro@gmail.com - www.workingmothersitaly.com

Incontro a Milano con ABCD: un bellissimo contributo di Barbara Mapelli

Valeva la pena di esserci, martedì 20 all'incontro sul libro organizzato da Isabella Landi per ABCD, anche solo per ascoltare l'intervento di Barbara Mapelli. Incontrare questa donna è stato un bel guadagno. Metto qui sotto il suo intervento, che consiglio molto di leggere.

LINGUAGGIO
E’ scorrevole, semplice e discorsivo, piacevole, ironico, si sofferma spesso sull’etimologia/significato delle parole che usiamo abitualmente e ci aiuta a rifletterci, senza accettarle acriticamente. E’ discorsivo, sembra voler avviare una conversazione con la lettrice/lettore
E appunto mi soffermo, come prima attenzione, proprio sul linguaggio perché del testo rivela le intenzioni e anche la struttura portante, su cui il libro è costruito. Le interviste alle donne, che organizzano i diversi contenuti, divengono nel testo un racconto, più racconti e storie che si intrecciano, costruendo una trama comune, un discorso più generale di somiglianze, intrecci, connessioni da cui emergono contenuti condivisi. Una presenza collettiva in cui le protagoniste e l’autrice stessa sono narratrici e interpreti allo stesso tempo.
NARRAZIONE
Il racconto di queste donne, la composizione e il commento di Luisa divengono la base e la possibilità di riconoscimento per le altre, il riferimento per riflettere sulla propria esperienza, per pensarla come una storia, narrabile quindi, e di valore, per sé e per le altre. In questo modo si contribuisce a creare una tradizione, un discorso sul lavoro che non si avvale più soltanto di parole, immagini, narrazioni maschili.
Quello scelto da Luisa è un percorso che si inserisce in una cultura che mi appare di matrice tutta femminile. Se infatti il metodo delle interviste caratterizza molte ricerche, anche maschili naturalmente, in questo caso si privilegia la dimensione della relazione tra donne, poiché il testo mette in dialogo le intervistate tra loro e con l’autrice, che si misura con le parole delle donne e, a partire da queste, inaugura e stabilisce un dialogo anche con chi legge. E allora la molteplicità dei punti di vista diviene un valore, dichiarato fin dalla premessa in cui si dice che l’oggetto di ricerca non è ciò che c’è (altrimenti detto la verità), ma ciò che si vede e in questo modo offre dunque spazio di parola e interpretazione anche alla lettrice, non più posta in una condizione passiva e acritica, come avviene nei testi dell’ipse dixit maschile (e anche in alcuni femminili).
Si prospetta dunque una possibilità appassionante di lettura ed è quella che ho adottato.
TRADIMENTO
L’ho adottata consentendomi quell’attitudine che per me significa che un libro mi piace e mi interessa: allora tradisco l’autrice.
Vado cioè al di là delle sue intenzioni – ma in questo caso probabilmente corrispondo alle sue intenzioni – lascio che il libro generi in me altre storie e altre direzioni, altri pensieri ed emozioni.
D’altronde io sono un’educatrice e interpreto dunque tutto il testo in questa prospettiva, anche se mi sembra che l’autrice stessa la condivida, o forse, e addirittura, mi chiedo, non è vero che ogni libro, ogni relazione, diretta o mediata attraverso la parola scritta, è, se vuole, educativa? E se non vuole non è neutra ma diseducativa?
Un libro che diviene importante per me è allora quello che sa condurmi lontano da sè. (D’altronde tra le belle etimologie che ci offre Luisa c’è anche quella di tradimento…)
PAROLE
Etimologie, appunto, grande attenzione alle parole. C’è bisogno di parole di donne sul lavoro (e non solo), per non continuare ad usare il linguaggio altrui – e il linguaggio è ciò che dà forma al mondo, lo interpreta e trasforma questa interpretazione in norma - per piegarlo, risignificarlo sui sensi, bisogni, usi delle donne. Per dimostrare, innanzitutto a sé stesse per poi dirlo alle altre, che non c’è una sola concezione di lavoro e di carriera e che sono possibili invece molti percorsi. (pag.45)
PROGETTO
Mi è parsa una parola importante nel testo e lo percorre in molte parti: i modelli sociali di femminile e maschile che condizionano le scelte, anche quelle apparentemente più libere e condizionano ambedue i sessi (esempio della carriera, se una donna può fare carriera, un uomo deve) e ho verificato nelle mie ricerche con adolescenti ancora a scuola come questi modelli li/le vincolino nell’elaborazione della scelta per il futuro. I modelli di genere poi nel contemporaneo sono complessi, contraddittori, spesso opposti, credo sia impossibile interpretarli – per non subirli passivamente - in solitudine, senza una guida critica. La scuola, le altre agenzie formative dovrebbero offrire come prima forma di educazione di genere gli strumenti per interpretare quel che il contemporaneo propone per divenire e crescere donne e uomini (e comprendere è il primo passaggio per mutare).
Proseguendo sulla parola progetto. Mi colpisce nel testo quando si parla di carenza progettuale delle donne in confronto agli uomini e l’autrice la definisce in realtà un punto a favore (pag.20). Non posso che condividere e ricordo di aver scritto qualcosa di molto vicino a proposito delle adolescenti. La norma sociale impone agli uomini (e non alle donne,come si diceva prima) non solo di dover lavorare, ma di dover fare carriera, questo limita la loro capacità progettuale o almeno ne riduce l’ampiezza, aumenta le ansie che rendono meno creativi, flessibili, disponibili. E questo già verificavo tra i giovani maschi adolescenti a scuola. Mentre le ragazze che intervistavo avevano progetti meno delineati, più vaghi, spesso tra loro contraddittori e io avevo considerato che questo avrebbe potuto renderle più libere, più capaci di ragionare su un ampio spettro di possibilità, comprensive anche del fatto che la biografia di una persona non si costruisce solo su un progetto di lavoro, ma, come scrive Luisa, mentre una donna progetta progetta anche per la sua famiglia. Ma qui si apre un altro grande capitolo, sempre complesso, talvolta doloroso, che per il momento tralascio.
Questo libro lo penserei dunque molto utile, almeno in alcune sue parti, per un lavoro di orientamento fin dalle scuole.
AMBIVALENZA
Quando parlavo con le studentesse delle scuole i loro progetti per il futuro potevano definirsi ambivalenti, ci si immaginava spesso tra un aereo e l’altro, impegnate in molte riunioni, come manager di successo, e nel contempo felici nella propria casa, nella quotidianità regolare tra colazioni, buoni mariti (al buon marito sono dedicate alcune pagine nel libro, pp.82-3) e bimbi a scuola.
Tratti di ambivalenza a loro volta di contenuto ambiguo: da una parte la pericolosità di questi progetti che possono indurre sogni di onnipotenza e indicano poca conoscenza della realtà con i suoi vicoli e difficoltà (ma a scuola non si fa orientamento di genere, la realtà del contemporaneo, la sua conoscenza sessuata non fa parte dei programmi), ma al contempo e d’altra parte l’elaborazione di una competenza, soprattutto femminile, a vivere il tempo moltiplicandolo, rendendolo plurale (la frase attribuita a Madame de Maintenon, favorita e poi moglie morganatica del Re Sole: “Il re si prende tutto il mio tempo. Quello che resta lo dedico a Saint Cyr, a cui vorrei donarlo tutto”. Il resto del tempo è la sua risorsa di senso, la sua capacità di sottrarsi alle norme che regolano il tempo, alla sua economicità, all’ansia che sia sempre e visibilmente produttivo, in questo consiste l’eccedenza dell’esperienza femminile, legata alla pluralità continuamente ripercorsa, inventata, composta, dei propri ambiti esistenziali).
Ma l’ambivalenza femminile può divenire ed essere una grande risorsa, la capacità di stare in ambiti diversi allo stesso tempo, ma anche un autolimite (pensare alle difficoltà innanzitutto con sentimento di inadeguatezza personale, sindrome dell’impostore, pag.149) e l’autrice ne parla a lungo. Trasformarla soprattutto in risorsa è uno degli obiettivi del volume, come modalità femminile di apprendere a stare e vivere nella complessità, adottando e sviluppando la competenza di continui aggiustamenti, cambi di rotta, le mille microsoluzioni (pag.185).
GENERAZIONI
E a proposito di obiettivi, tra i molti leggo quello che più mi interessa, lo scambio di esperienze tra generazioni. C’è un bella frase nel libro, che trascrivo, quando si riesce a mettere in circolo l’esperienza, quando si riesce a condividere gli orientamenti, quello che si è riuscite a fare e come si è riuscite, il nostro orizzonte si amplia. Quello che facciamo acquista un senso non solo personale. Il proprio modo di agire non è più solo un’affermazione di capacità individuale: diventa una possibilità anche per le altre .(pag.173)
Appunto, così, insieme, si può cominciare a mutare, sé e il contesto.
L’autrice racconta, o fa parlare, normali vite di donne, adottando la metodologia che il movimento delle donne ha inventato, il partire da sé, dalla propria storia e l’accostarsi di molte storie diviene una coralità condivisa, un sapere, più saperi del lavoro e della vita. Costruisce il sapere delle donne, nel lavoro ma non soltanto, poichè sappiamo che non vi è separatezza nelle biografie delle donne, anzi ogni separatezza viene respinta e quindi questi saperi divengono saperi biografici, con cui si compone la vita di ognuna.
Luisa ha lavorato per tutta la vita nell’ambito aziendale. Da un po’ di tempo ha una nuova vita e di essa dedica una parte a questo lavoro, lo scrivere libri, sulle e con le donne.
Probabilmente abbiamo la stessa età e probabilmente, se pure in ambiti diversi, le stesse intenzioni, o almeno simili. Costruire trame di storie, reti di racconti, un sapere, dei saperi della vita e del mondo che si avvalgano delle esperienze femminili. Per tramandarli tra donne, tra generazioni, non come contenuti già elaborati solo da acquisire, un nuovo logos – la parola che si fa norma - questa volta al femminile, ma piuttosto come mythos (Luisa che ama le etimologie sa che logos e mythos sono le due forme greche, con diverso significato, di parola), racconto, scambio di esperienze, appunto, che partono dal sé individuale e collettivo di una generazione di donne per avvicinarsi ad altre, con altre vite ed esperienze, anche altri problemi. Perché sui vari temi si scambino parole di donne e poi, tra generazioni, ci si tradisca, si vada altrove, ma rinforzate, rese più sicure, più tranquille, anche nel proprio oltre, per il fatto che si sa che intorno, alle spalle, ci sono, e ci sono stati, progetti, proposte, vite e percorsi di donne, da cui apprendere per trasformare e continuare, così, la narrazione.
Barbara Mapelli