La prima è immediata, quando vedo crescere, tra le donne che partecipano, un senso di sollievo, quando capiscono di non essere solo loro a provare quello provano, a vivere quei problemi, a sentirsi inadeguate o incapaci. Perché per quanto ne parliamo da tanto tempo, è incredibile il senso di solitudine diffuso tra le donne che lavorano, che si sono scelte il lavoro come parte della costruzione di sé. Forse perché il movimento delle donne in passato si è viluppato molto di più sui temi che partivano dal privato, e il lavoro è arrivato a imporsi in tempi più recenti. Forse perché è ora che le donne si presentano massicciamente e irreversibilmente sul mercato del lavoro anche qualificato. Comunque, incontrando donne in situazioni diverse, trovo un fortissimo bisogno di parlare, discutere, confrontarsi con altre a questo proposito.
Mi viene proprio da dire che questo è il momento. E' ora matura una necessità e una consapevolezza. E dunque aver fatto questo libro, e fare questi incontri di 'formazione a rovescio' rispetto al lavoro mi dà un senso di utilità, di fare una cosa piccola ma con un senso.
C'è anche un altro aspetto: io esco da questi seminari sempre molto arricchita. In questi incontri lavoriamo sul raccontare di sé, scrivendo e poi leggendo insieme la propria esperienza, il proprio sentire, gli episodi illuminanti, i pensieri. E io raccolgo sempre un fiorire di riflessioni, di scarti inattesi nella lettura di situazioni note, di manifestazioni sconosciute degli stessi meccanismi di fondo, di racconti che lasciano allibite, di visioni spiazzanti.
E queste donne sono donne come lo siamo tutte, normali, verrebbe da dire. Eppure, ogni volta si esce con un lavoro che lascerà belle tracce, qualche spostamento che resterà. Succede partendo da sé e scambiandosi esperienze, rispecchiandosi, e soprattutto: mettendosi in condizioni -di tempo, tranquillità, stimolo, anche forzatura magari- per riflettere sulla propria vita. Si prende consapevolezza e si esce con qualche strumento in più, con la voglia di restare in relazione con le altre donne con cui si è fatto questo lavoro, si esce un po' più padrone di sé, un po' più signore della realtà in cui si è immerse. Al termine di questi incontri mi ringraziano. E io ringrazio loro, perché non esisite nessuna formazione unidirezionale, il passaggio da chi sa a chi non sa ancora. Un'informazione, un'istruzione magari può funzionare così. Ma quando dico a queste donne: guardate che il lavoro lo avete fatto voi con me, non è retorica. E' vero.
Be', sotto l'impressione di questi incontri, ho pensato utile parlarne qui, riprendendo qualche aspetto raccolto.
Intanto un fatto interessante è che, da committenze diverse, sia stato richiesto di concentrare l'attenzione sul rapporto con il potere aziendale. Che in realtà si trascina molti degli aspetti che caratterizzano il nostro essere donne in questi lavori. (Ho messo dunque qui in fondo e nel post dedicato ai percorsi formativi lo schema di questo tipo di incontri).
Questo si è confermato un nodo centrale e difficile per tutte, pur in situazioni molto diverse. Così è stato con le partecipanti al master BEW24 del Sole 24 ore, dove le partecipanti sono dirigenti o donne in un percorso di carriera aziendale, professioniste come avvocate o consulenti, imprenditrici. Quindi ambiente di aziende private e di lavoratrici autonome.
Ma lo stesso è avvenuto con donne professionalmente molto diverse. Per iniziativa della Consigliera di Parità della Regione Piemonte, Alida Vitale, abbiamo fatto a Torino un seminario di una giornata con le donne che compongono i Comitati Pari Opportunità delle aziende pubbliche. Quindi tutt'altro ambiente, con maggiori rigidità organizzative e di cambiamento, con culture più arretrate, e con lavori spesso meno qualificati. In più queste donne, assumendosi un ruolo rispetto alle politiche di pari opportunità, sperimentano anche il rapporto con ambienti politici e sindacali. Bene, le dinamiche di fondo, i nodi da affrontare, la qualità delle esperienze e della cultura aziendale sono sostanzialmente uguali.
Capita anche che affiorino stimoli su cui vale la pena di lavorare più approfonditamente.
Per esempio, è successo a Catania, in un incontro per giovani agli inizi di carriera, che partecipassero alcune ingegnere e alcuni ingegneri (maschi). Si parlava delle strutture informali di appartenenza, quelle occasioni di incontro al di fuori delle ore e dei luoghi canonici del lavoro che in realtà permettono di stabilire relazioni amichevoli che poi agiscono anche nelle relazioni di lavoro. E i ragazzi presenti si sono un po' alterati dicendo 'che è colpa loro' (delle donne) 'perché noi giocando insieme nelle partite di calcio aziendali stringiamo dei rapporti che poi restano forti anche sul lavoro'. Appunto: è colpa loro se vengono escluse da situazioni che marcano l'appartenenza ai circuiti che contano, quelli maschili. C'era da farsi prendere dallo sconforto. Eppure subito altre ragazze hanno raccontato che nella loro azienda -di piccole dimensioni- hanno promosso degli incontri da 'tempo libero' che mettessero insieme uomini e donne: andare insieme a gite culturali, o, se sport dev'essere, andare a sciare o a correre insieme. Possiamo restare perplesse, pensare che siano escamotage non strategici. Ma le pratiche che provano a cambiare il terreno di gioco (dal senso reale al senso anche simbolico) mi sono sembrate una cosa da non disprezzare. Anche per la capacità dimostrata di pensarle e metterle in atto.
E' successo invece a Milano, nella giornata al master del Sole 24 ore Business Education for Women, e in un altro incontro di tipo associativo, di trovare testimonianze sul passaggio generazionale. Cosa succede quando il passaggio dell'azienda avviene non di padre in figlio, ma di padre in figlia? e ancora più: di padre in figlia e figlio. Cosa succede quando l'azienda del padre opera un settori molto maschili, dove dipendenti, clenti e fornitori sono abituati ad avere il padre -un uomo- come figura di riferimento?
Mi sono imbattuta in giovani imprenditrici che hanno dovuto sopravvivere alla disistima familiare, che non le riteneva adatte a subentrare nel ruolo, in quanto donne. Ancora più se in presenza di un fratello: anche se meno dotato o meno affidabile, diventava l'eletto. A volte erano loro stesse a favorire un ruolo più importante per i fratelli assumendo verso di loro un atteggiamento materno-sacrificale, o introiettando il giudizio di inadeguateza. Ne ho incontrata una che dopo un crisi depressiva se n'è andata dalla società di famiglia per fondare la sua impresa. E quelle che si sono trovate ad ereditare il ruolo in ambienti molto maschili hanno avuto esperienze pesanti: alcune hanno dovuto nascondersi dietro un ruolo di pura facciata giocato da mariti o fidanzati (che in realtà non si occupavano dell'azienda), o presentarsi come portavoce di un imprecisato gruppo di soci, o conquistarsi l'accettazione con gentilezza e regali, più che facendo una poco credibile imitazione di durezza maschile. Storie incredibili, oggi, a Milano. Eppure vere. Un tema che vorrei proprio continuare a indagare specificamente. Vedrò come fare.
Per ora, ho visto che di uno di questi incontri si è parlato e anche scritto, e allora lo segnalo.
Incontro "Conoscere le organizzazioni, comoscere se stesse"
I RAPPORTI CON LE STRUTTURE DEL POTERE,
LA NEGOZIAZIONE CON LA GERARCHIA E L'AUTOVALORIZZAZIONE
Contenuti
Contenuti
I -I rapporti con il potere aziendale: un'area problematica
• Un difficile rapporto con il potere e le sue cause:
Inesperienza, solitudine, ingenuità. Una diversa concezione del potere
• Le strutture formali e informali del potere in azienda:
L'opacità dei meccanismi del potere. Appartenenza ed esclusione femminile
II - ll rapporto con la gerarchia: valorizzarsi e negoziare
• Dinamiche relazionali e aspetti psicologici nella negoziazione:
Affettività e relazioni simboliche. Remunerazioni immateriali.
• La difficoltà di valorizzarsi e di chiedere. Le cause: Insicurezza e scarsa autostima
III – Strumenti
Lobby, networking, mentoring, relazioni tra donne
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