Più che una recensione, un contributo importante di ragionamento sui temi proposti dal libro, viene da Pino Varchetta, psicologo molto noto soprattutto nell'ambito della formazione.
Ecco il suo articolo che uscirà sul prossimo numero di Direzione del Personale, rivista dell'AIDP.
Ormai molti anni fa, nel 1988, un filosofo italiano pubblica un libro Sguardo e destino con il quale sembra prendere congedo dalla filosofia mentre, all’opposto, conduce per mano il pensiero filosofico nel render conto alla cultura dei soggetti umani che il mondo si offre di per sé pieno di enigmi, che per essere colti, compresi, necessitano di un lasciarsi alle spalle il rigore passato. “Sguardo e destino”, appunto, che può essere accostato alla ricerca di Luisa Pogliana sui percorsi aziendali di un gruppo di trenta 'donne in carriera', manager tutte con rilevanti responsabilità nell’organizzazione di appartenenza e con l’obiettivo consapevole di cercare di restare donne.
Fin dal suo incipit l’autrice parla di uno sguardo (etnografico) che, al di là di quello dominante, lo sguardo maschile, può svelare “quello che altrimenti resta tacito e latente” (ivi pag. 8), mettendo in luce “i meccanismi di penalizzazione coperti da negazione e silenzio” (ibidem). Occorre una svolta epistemologica, uno sguardo femminile che offra alla ricerca psicosociologia sulla condizione della donna nell’organizzazione aziendale del nostro Paese, una prospettiva finalmente densamente vera, un’attesa thick description.
I temi e i problemi sottesi dalla ricerca della Pogliana sono drammaticamente reali e tristemente lievitati da una confusa ridda di eventi che negli ultimi mesi hanno, nel mondo mediatico, portato i temi del rapporto tra donna e potere all’attenzione dei più, in uno scempio e in un assalto caratterizzato da ansie persecutorie e da una manifestazione dell’autorità e della politica a dir poco depressive.
La cultura organizzativa italiana a partire dalla prima metà degli anni ’90 del secolo scorso è stata coinvolta dalla questione femminile giunta ad un secondo ordine di complessità. Le donne hanno sempre abitato l’Azienda, anche nel nostro Paese, ma, salvo rarissime eccezioni, ripetendo per lo più i ruoli ancillari di una esperienza familiare arcaica. Sono state le donne operaie, impiegate, segretarie, assistenti, venditrici, sepolte in ruoli predittivamente subalterni, popolando una sorta di etnia della esecutività rassegnata.
Si è poi, finalmente, presentata una discontinuità qualitativa, nutrita da una concomitanza di profondi cambiamenti culturali-strutturali della società italiana, condotta da donne diverse che accanto a proprie interne intenzionalità di autosviluppo generativo “dentro il lavoro organizzativo”, non rinunciano ad una visione diversa, da quella dominante maschile del lavoro e dell’organizzazione. Una sfida troppo complessa per l’asfittica cultura organizzativa italiana ancora oggi, soprattutto nel dominio aziendale, caratterizzata da una visione delle cose dettata dallo sguardo maschile.
Per quel gruppo di giovani donne diverse “l’attuazione di un proprio progetto comincia a volte proprio con un no, o con un si diverso da quello previsto” (ivi pag. 19).
L’autrice con profonda onestà afferma nelle prime pagine che “nel libro si parla di donne e di uomini, attribuendo loro certi atteggiamenti e comportamenti distintivi. E’ chiaro che gli uomini non sono tutti uguali, e nemmeno le donne. Perciò si fa riferimento al comportamento maschile e femminile prevalente. Anche le aziende non sono tutte uguali. Anzi, le caratteristiche e la cultura dell’azienda possono cambiare di molto i percorsi di cui parliamo. Tuttavia qui si fa riferimento alla cultura dominante, e a quegli elementi di questa cultura che nelle esperienze raccolte risultano comunque ricorrenti” (ivi pag. 11). Si può aggiungere che, chiuso il libro, dopo una fitta e attenta lettura, resta l’emozione e la cognizione di aver ascoltato un microcosmo – le trenta protagoniste intervistate – calato in un immaginario sulla condizione femminile nell’esperienza aziendale nel nostro Paese nutrito da annose esperienze per lo più dominate dal dolore e dalla non cura.
Il volume si articola in cinque parti: una riflessione sul lavoro, sulle soglie invisibili e soprattutto sul rapporto difficile delle donne col potere, sulla vita spericolata cui le donne con alte responsabilità aziendali sono costrette, sulle trappole dell’affettività nell’ambiente di lavoro, sugli aspetti intersoggettivi all’interno delle proprie personali ambiguità.
Ognuna di queste cinque parti si struttura come un ordito di scrittura densa, di cura e attenzione, nel quale si fondono e le testimonianze dirette delle manager intervistate e un libero, a tratti intimistico, a tratti orgogliosamente politico, conversare dell’autrice. Quello che emerge è un affresco problematico, per non dire pessimistico nel suo trasparente realismo: vince ancora nella cultura organizzativa del nostro paese un modello di dominio basato sulla gerarchizzazione sociale, nel quel gli uomini e la visione maschile dominano la realtà e con essa gli altri e in particolare le donne. Tale modello di dominio ha informato la visione del mondo dei più con modalità radicate e tali che molti soggetti umani attivi nel nostro paese credono profondamente che esso sia inevitabile, una sorta di “legge di natura”, parte integrante dell’esperienza di vita quotidiana.
Di fronte a tale quadro la Pogliana precisa che tutto “questo non vuol dire che esiste un modello cattivo a cui si contrappone un nuovo modello buono. Anche i modelli che si sono storicamente affermati avevano la loro ragione d’essere. Il problema è l’estremizzazione, l’unicità, la rigidità, la fissità. La realtà aziendale e il mondo del lavoro sono cambiati, dunque i modelli non sono più adeguati o non bastano più da soli. Questa è la novità che portano le donne, inevitabilmente, entrando in un mondo e rivestendo ruoli che non prevedevano affatto di incarnarsi in una donna” (ivi pag 182). A un diverso modo di essere, quello femminile, potrebbe, dovrebbe seguire una diversa visione del mondo.
In altre parole la prospettiva ideale dettata, desiderata, dalle donne con ruoli direttivi testimoniate dalla ricerca della Pogliana e, più in generale, dall’intero movimento di idee sull’organizzazione aziendale e sull’incontro in esso di generi e culture diverse da esse testimoniato, potrebbe, lungo la traccia dell’insegnamento della scienza della complessità, essere il transito da una visione dell’esperienza organizzativa orientata dal “vertice del controllo” ad una orientata dal “vertice dell’autonomia”
CONTROLLO
L’UTENTE E I SETTORI DISTRIBUTIVI IN SENSO LATO SONO RAPPRESENTATI E GESTITI IN QUANTO UNITA’ ETERONOME.
ESSI SONO IN QUANTO TALI DETERMINATI DALL’AMBIENTE AD ESSI ESTERNO.
TALE RELAZIONE E’ LETTA SECONDO UNA LOGICA DI CORRISPONDENZA.
L’AMBIENTE - L’INSIEME PRESCRITTIVO FORMALIZZATO DALLE SCELTE, DALLE DECISIONI E DALLE AZIONI DELL’AUTORITA’ EROGATRICE DELSERVIZIO - E’ IN RELAZIONE DI CONTROLLO CON IL SISTEMA VIVENTE DELL’UTENTE E DEI SETTORI DISTRIBUTIVI IN GENERE.
L’AUTORITA’ EROGATRICE PONE I PROBLEMI E INDICA LE SOLUZIONI MIGLIORI.
L’UTENTE E I SETTORI DISTRIBUTIVI IN GENERE CERCANO, ATTRAVERSO
REAZIONI, DI RISPONDERE A QUESTE ESIGENZE.
L’UTENTE E I SETTORI DISTRIBUTIVI IN GENERE SONO CHIAMATI AD UN APPRENDIMENTO PREVISTO NEL SUO TRAGUARDO FINALE FIN DALL’AVVIO E CONSISTENTE NELL’ESPRESSIONE DI COMPORTAMENTI SECONDO I MODELLI INDICATI DALL’AUTORITA’ EROGATRICE.
AUTONOMIA
L’AUTORITA’ EROGATRICE DEL SERVIZIO ACCETTA E FA SUA UNA VISIONE CHE NON PROSPETTA UNA DESCRIZIONE DEFINITIVA E PERFETTA DELL’UTENTE E DEI SETTORI DISTRIBUTIVI IN GENERE.
LA GESTIONE DELL’AUTORITA’ EROGATRICE (E IL SISTEMA COGNITIVO RELATIVO) SI SVOLGE IN MODO INCOMPLETO, MA INTERESSATA A SEGUIRE, SUL PIANO DELL’ESPERIENZA DIRETTA, QUALI CARATTERISTICHE SPECIFICHE L’UTENTE E I SETTORI DISTRIBUTIVI IN GENERE POSSONO SVILUPPARE.
E’ UNA GESTIONE DELLA VITA VIVENTE E NON DELLA VITA STATICA: E’ UNA CONOSCENZA/GESTIONE CHE ACCOGLIE LA VITA, DEFINENDO E AGENDO VITA E COGNIZIONE COME INTERDIPENDENTI.
UTENTE E SETTORI DISTRIBUTIVI IN GENERE CONSERVANO LA LORO
AUTONOMIA, MUTANDO IN COERENZA CON LE PROPRIE CARATTERISTICHE
VITALI: LE INFLUENZE DELL’AUTORITA’ EROGATRICE DEL SERVIZIO (PERTURBAZIONI) POSSONO AVVIARE, FAVORIRE MA NON COSTITUIRE IL LORO CAMMINO EVOLUTIVO.
SE RESTA AMPIO E NON PRE-DEFINIBILE LO SPAZIO DI INTERAZIONE PER L’AUTORITA’ EROGATRICE, RESTA APERTA PER L’UTENTE E I SETTORI DISTRIBUTIVI IN SENSO LATO UNA CRESCITA DELLA PROPRIA AUTO-ORGANIZZAZIONE, SENZA UNA NECESSARIA CONNESSIONE ALL’IDEA DI UN PROGRAMMA DETTATO DALL’ESTERNO.
Non siamo – è una speranza – solo nell’universo dell’utopia; crediamo, vogliamo essere nell’universo della speranza. E la speranza può essere nutrita, in diretto riferimento allo straordinario lavoro di Luisa Pogliana, da alcune osservazioni e da alcune suggestioni:
non è sempre e del tutto corrispondente a verità che “l’affettività, le emozioni, la novità portata appunto dalle donne ‘venga’ spesso citata, anche nei convegni, in situazioni pubbliche, con toni di melassa o di condiscendenza … una differenza che si può concedere perché può essere fatta apparire come una aggiunta marginale che si inquadra nel modello tradizionale” (ivi pag. 137). A ben cercare anche nel nostro povero Paese si trova a questo proposito qualcosa di buono: esistono associazioni culturali molto attive, ormai distribuite strategicamente in tutto il territorio, che operano sui temi della vita affettiva nelle organizzazioni con grande impegno, con il coinvolgimento tentativamente paritetico nei gruppi di lavoro di donne e uomini. Sono ovviamente microstorie di discontinuità rispetto ad una macro storia ancora disegno diverso chiaramente denunciata dalla Pogliana;
non è sempre vero, riferendoci ai programmi universitari ed a i Master e ai modelli proposti di general manager e di Leadership che si propagandi unicamente “un modello per tutti, un modello maschile, che dà per scontato di essere l’unico possibile perché l’unico buono; che quindi toglie valore a qualunque altra modalità, a qualunque diversa competenza invece necessaria” (ivi pag 139). A ben cercare anche nel nostro povero Paese sono saldi ormai da molti anni progetti di formazione manageriale e di alta formazione nei quali il tema della Leadership e in generale della Gestione Aziendale è affrontato con approcci multidisciplinari nei quali si confondono e le tendenze ultime relazionali della psicologia dinamica e le scoperte più recenti delle neuroscienze sui processi cognitivi, capaci di offrire agli utenti non modelli ma occasioni emergenti generative di una ricerca verso una gestione della leadership la più possibile embodied, calata nei contesti specifici, frutto di una generatività ricorsiva tra soggetto e ambiente;
Viviamo tempi la cui gestione ottimale necessita sempre di più dei cosiddetti valori “femminili” quali l’affettività, l’emozione, la cura, l’empatia, la compassione, accanto all’achievement, alla determinazione decisionale, alla capacità di contenimento delle ambiguità insopprimibili che la difficoltà della realtà quotidiana oggi ci presenta ogni giorno. Occorre avere la spudoratezza, malgrado le nebbie ancora alte presenti in tutti i nostri mondi, di credere che la contemporaneità lavori per un consolidamento ogni giorno più saldo della visione “femminile” delle organizzazioni. Si afferma tutto questo sorretti dalla convinzione che quello che occorre profondamente è un salto, una discontinuità profonda. In altre parole sembra di poter dire che accanto alle donne e ai maschi esistano il femminile ed il maschile, che non sono quali tratti profondi dell’Io umano, patrimonio esclusivo il primo delle donne, il secondo degli uomini. Sono invece tratti presenti entrambi in entrambi i generi e che fraintendimenti e pressioni culturali impediscono di essere nella loro presenza percepiti insieme da parte dei due generi, che per sessualità primaria sono obbligati culturalmente a testimoniarne tendenzialmente uno solo. Dalla vita noi abbiamo ricevuto come donne e uomini i due generi e le nostre due visioni del mondo; tertium non datur: il terzo spazio è sempre una conquista e il nostro traguardo è un’autentica bisessualità, la capacità interna da parte dei due generi di sentire i loro tratti dominanti ma anche quei tratti dell’altro genere che ospitano da sempre come ospiti sconosciuti e che il dolore della condizione femminile presente e l’urgenza complessa dei problemi presenti dovrebbe rigenerare fino a trasformarsi da ospite sconosciuto ad un atteso imprevisto.
Questa sembra la sfida che abbiamo di fronte e che il principio della speranza e il coraggio di testimonianze come quella di Luisa Pogliana non potrà non nutrire.
Giuseppe Varchetta
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