lunedì 17 maggio 2010

Un dibattito alla Libreria delle Donne: Dire ascoltare contrattare. Dare forza alle relazioni tra donne.Fare politica, contendere terreno al potere

Il Gruppo Lavoro della Libreria delle donne di Milano ti invita
sabato 22 maggio – ore 17.30, Libreria delle donne, Via Pietro Calvi 29. Milano
Dire ascoltare contrattare. Dare forza alle relazioni tra donne. Fare politica, contendere terreno al potere
Partendo dalle diverse esperienze e dai pensieri di ognuna/o, confrontiamoci in libertà sulle forme politiche di aggregazione che oggi ci sembrano utili e desiderabili per dare forza alla nostra volontà di cambiare il lavoro, cambiare la politica.

In occasione di questo incontro mi è stato chiesto un contributo, a partire dalle mie esperienze e riflessioni raccolte nel libro 'Donne senza guscio'. Ho preparato alcuni appunti, che ripartono da un incontro precedente da cui è scaturito questo.

Il cosa e il come

L'incontro di questa sera propone di ripartire da dove eravamo rimaste nell'incontro precedente, dedicato all'organizzazione del lavoro. Su questo c'era una certa chiarezza e convergenza di obiettivi, ma la domanda alla fine era: come fare per raggiungerli? Il cosa vogliamo è chiaro, il come fare per raggiungerlo è invece ampiamente irrisolto. Il nodo da affrontare, dunque, sono gli strumenti, le pratiche possibili, la questione di come rapportarsi con il potere.
E si era detto: però qualcosa si muove tra le donne, proviamo a vedere. Ripartiamo da qui.
Nessuno può avere soluzioni bell'e pronte, pratiche risolutive, ma ci possono aiutare alcune considerazioni.
1-Il lavoro delle donne è attraversato da molte cose comuni, ma i lavori per le donne sono anche diversi.
Il lavoro è ormai una dimensione imprescindibile nella vita delle donne, e c'è una consapevolezza diffusa della differenza di genere e di quello che comporta anche nel lavoro. Per questo può costituire il nuovo punto di incontro delle donne, per provocare cambiamenti. Ma al tempo stesso il lavoro ci segmenta, perché le diverse collocazioni comportano problematiche diverse, analisi e soluzioni differenziate. Per cui lavorare sullo specifico, in questo caso, non significa frammentare, ma affinare gli strumenti.
Io parlo dall'ottica della mia esperienza, le donne in posizioni direttive o qualificate in azienda.
Porto quello su cui ho ragionato con un lavoro fatto recentemente (il mio libro Donne senza guscio), e quello che ho visto e discusso in circa dieci mesi di incontri e seminari sviluppatisi attorno al libro in giro per l'Italia. Dentro questa esperienza ci sono, appunto, cose che riguardano il lavoro delle donne in generale, e altre specifiche all'ambito che ho considerato.
Ma tutte hanno hanno un nodo comune, quello del rapporto con il potere, specificamente il potere in azienda. Vediamo perché.
2- A fronte di una chiarezza di obiettivi, che si concentrano sull'organizzazione del lavoro, è molto difficile ottenerli, nonostante la loro praticabilità.
Ricordiamo infatti che le donne non chiedono vantaggi costosi orientati al 'lavorare meno', ma condizioni per poter lavorare bene pur avendo un progetto di vita intero. Dietro questo tipo di richieste -cosa importante per noi, ma dovrebbe esserlo anche per le aziende- c'è una motivazione nuova e forte verso il lavoro. Le donne amano il loro lavoro, perché concepito come strumento di autorealizzazione, non da perseguire a scapito del resto della vita, ma imprescindibile. Cercano quindi i modi per per poter avere tutto, non per liberarsi per quanto possibile dal lavoro. Per questo le richieste sono praticabili e ragionevoli, tanto che le politiche avviate su questo terreno da alcune aziende più innovative si muovono proprio in questa direzione.
Ma allora, perché questa resistenza a cambiare l'organizzazione del lavoro?
3- Occorre un ulteriore passo di chiarezza su cos'è l'organizzazione del lavoro, per spiegare, almeno in parte, perché sia così difficile ottenere cambiamenti a questo livello.
L'organizzazione del lavoro non è solo uno strumento tecnico per fare funzionare l'azienda. L'organizzazione serve in buona parte al vertice aziendale per mantenere il suo potere. Risponde al modello di pianificazione e controllo, con cui il top management esercita il potere. Modello che si attua con modalità, riti e rigidità. Ovvero, una volta definito il modello di funzionamento, tutto ciò che non è contemplato non si può fare (per esempio: non si può rendere flessibile l'orario di lavoro, anche se questo non comporta nessun incremento di costi, oppure gli aspetti di diversità portati dalle donne non possono essere accolti). Si può dire che è un modello tipicamente maschile, dove si definisce il mondo aziendale attraverso un'astrazione dove tutto è stato messo in posto definito, e a quella si fa riferimento e ci si attiene, fino a non vedere più la realtà che si ha sotto gli occhi. Perché è così che si pensa di controllare tutto, che nulla possa sfuggire: un'anomalia può mettere in discussione il modello. E' questo il nodo per tutte.
Sono questi meccanismi che le donne rifiutano, e con le loro richieste improntate alla concretezza svelano e vanno a toccare proprio il funzionamento del potere. Le resistenze al cambiamento organizzativo si radicano qui, ben più che su problemi di costi ed efficienza.
Se pensiamo che le richieste delle donne siano limitate a soluzioni pratiche (per esempio, della cosiddetta conciliazione), sbagliamo. Secondo me le donne stanno mettendo in questione chi, come e con quali obiettivi gestisce il potere in azienda.
Per questo il nodo inevitabile è il rapporto con il potere in azienda, che va ripreso ben oltre questa schematica sintesi.
4- E veniamo alle pratiche. Innanzitutto va detto che esistono due livelli su cui possiamo agire per il cambiamento.
Quello di ognuna rispetto al suo contesto e situazione, che ogni giorno si deve affrontare subito e nella sua specificità, e quindi richiede certi strumenti ed è molto legato all'individuo.
E quello collettivo, dove si pongono le questioni strategiche per tutte, che richiedono un confronto istituzionale con le controparti (le aziende e le loro associazioni, il governo), con strumenti diversi.
Ma a questo livello si arriva se si parte da una consapevolezza e da un riflessione maturata nella realtà quotidiana. E' quello che ho visto innanzitutto nelle pratiche delle donne che hanno partecipato al libro. Quello che ho trovato molto importante, è che anche a livello individuale qui le donne mettono in atto tentativi di cambiamento delle regole aziendali, di quelle regole in cui non si ritrovano rispetto al modello manageriale e organizzativo dominante nelle aziende.
C'è una grande assunzione di responsabilità individuale in questo orientamento a cambiare. Senza vittimismo e rivendicazionismo, senza deleghe e senza alibi, queste donne agiscono qui ed ora. E questo lavoro diffuso, costante e coraggioso può portare a cambiare qualcosa: la cultura aziendale non è una cosa data a cui noi siamo estranee, qualunque cosa facciamo o non facciamo la influenza.
E' una dimensione imprescindibile, anche se resta legata alla volontà e capacità della persona.
Se proviamo a guardare agli strumenti collettivi, io ho visto due realtà molto diverse.
Intorno alla questione del lavoro sono sorte moltissime micro organizzazioni di donne, anche solo comunità virtuali. Ma spesso esprimono interessi e bisogni, più che delineare pratiche: manca ampiezza di analisi e di visione che orienti il fare.
Più rilevanti sono invece le varie forme in cui le donne si associano negli ambiti professionali. Hanno costituito network di tipo professionale, hanno creato per sé ambiti specifici all'interno di di sindacati e associazioni professionali, manageriali e anche imprenditoriali (le buone prassi messe in atto nelle aziende medio-piccole da donne imprenditrici sono numerose, e da conoscere). Sono forme organizzative che hanno una loro efficacia, e possono portare proposte di cambiamento agli interlocutori istituzionali, la controparte con cui negoziare. Anche se magari con una modalità, una parzialità di obiettivi e a volte un'ideologia in cui non ci possiamo ritrovare pienamente. Però credo che tutto ciò che si muove per aprire spazi alle donne vada bene, spetta poi alle donne come usare questi spazi.
Io penso che sia questo complesso di elementi di pressione che hanno messo in discussione -in modo abbastanza diffuso- che ci sia un solo modo di concepire e di realizzare il lavoro e il funzionamento di un'azienda. Oggi di questo di discute dappertutto, anche se i risultati sono ancora minimi. Ma se qualcosa ha cominciato a cambiare, è cambiato a partire dal basso. Il cambiamento non viene mai dall'alto, se non costretto da un bisogno, da una volontà, da una forza.
5- Questo quadro, come ho detto, indica come questione centrale il rapporto con il potere aziendale.
Anche su questo tra le donne si si trova una forte convergenza, ma in questo caso problematica e irrisolta. C'è una difficoltà diffusa nel rapportarsi al potere aziendale. Manchiamo di un'analisi adeguata dei meccanismi del potere, del perché sostanzialmente tendiamo a chiamarcene fuori. Manchiamo di chiarezza su cosa realmente vogliamo e sui nostri possibili strumenti.
Diciamo che le donne non sanno gestire il potere perché forse non lo vogliono, perché hanno una diversa concezione del potere. Questo ci porta ad un diverso modo di concepire il lavoro e il modo di lavorare, ma non porta di per sé ad ottenere i nostri obiettivi, a cambiare la nostra condizione. Il potere è necessario per cambiare, ma le donne dichiarano e praticano una sostanziale estraneità, con il risultato -consapevole- che così lo si lascia agire sia a livello individuale sia a livello collettivo.
Qui si pone il problema degli spazi che le donne possono prendere nelle aziende. Degli strumenti di potere: come funzionano quelli attuali, con quali meccanismi? Cosa facciamo noi? Come diversamente possiamo costruire un nostro potere? E' su questo che bisogna lavorare senza rimandi.

Premio Biella: annuncio dei finalisti


Guerini e Associati

COMUNICATO STAMPA

Luisa Pogliana tra i cinque finalisti di Biella Letteratura e Industria 2010

Sono stati presentati il 13 maggio, nell'ambito del Salone internazionale del libro di Torino i cinque finalisti del Premio Biella Letteratura e Industria, promosso da Città Studi Biella. Il premio, unico in Italia, indaga i complessi rapporti tra due mondi solo apparentemente distanti: quello delle arti e quello dello sviluppo e del progresso industriale. Tra le 46 opere in concorso, la giuria presieduta da Pier Francesco Gasparetto ha selezionato il libro «Donne senza guscio. Percorsi femminili in azienda» di Luisa Pogliana accanto a «Orgoglio industriale» di Antonio Calabrò, «Servi» di Marco Rovelli, «Rockefeller d'Italia» di Paride Rugafiori, «L'invenzione dell'economia» di Serge Latouche.

Luisa Pogliana, già direttore ricerche di mercato per Mondadori e ora consulente per studi e formazione per il management al femminile, con la sua opera sui percorsi femminili in azienda, pubblicato dalla Guerini e Associati, rappresenta una novità nell'edizione 2010 del premio poiché per la prima volta dal 2007 approda in finale una donna. La proclamazione e la premiazione del vincitore avverrà nel centenario di Confindustria, venerdì 19 novembre 2010 presso l'Auditorium Città Studi Biella.

Ufficio stampa - Fiammetta Regis: 02/58298026 - 380/9991199- regis@guerini.it

martedì 11 maggio 2010

Un incontro alla Casa di Vetro di Milano: "Per le donne il lavoro è un'arte"

Donne della realtà: lavorare in azienda è un'arte

Giovedì 20 maggio, dalle 18,30 alla Casa di Vetro di via Luisa Sanfelice 3, Milano, Alessandra Zini store manager di IKEA Porta di Roma e sua rappresentante in Valore D, Angela Di Luciano editor de ilSole24ore, Luisa Pogliana autrice di "Donne senza guscio", intervistate da Maria Cristina Koch e da Paola Ciccioli, converseranno sul tema delle donne in azienda.
Gestire il potere, reggere il successo, vivere e raccontare il quotidiano, colleghi, impegni, tempi, senza perdersi come donne è davvero un'arte, tanto bella quanto difficile.
L'evento si concluderà con un aperitivo guarnito per continuare a discutere, ragionare e gustare le relatrici e apprezzare la mostra "Vassoi d'arte", 50 vassoi IKEA che 50 artisti hanno trasformato in opere uniche. Da un'idea di Leonardo Santoli è nata una collezione di piccole opere d'arte che interpretano un oggetto quotidiano.
www.lacasadivetro.com/2010/05/10/giovedi-20-maggio-donne-della-realta-lavorare-in-azienda-e-unarte/#more-362

Per questo incontro ho preparato alcune riflessioni su questo tema, che riporto qui di seguito.

Per le donne il lavoro è arte
Ho trovato molti aspetti che danno corpo a questa 'affermazione -'per le donne il lavoro è arte'- nel lavoro che sta alla base del mio libro Donne senza guscio. Nato innanzitutto per riflettere sulla mia vita di lavoro, passata per la maggior parte in una grande azienda italiana, come direttore di una staff. E poi per documentare e discutere di cosa vuol dire veramente essere donna e manager, in una realtà aziendale ancora così escludente verso le donne. Così, partendo da me stessa, ho pensato di coinvolgere in un percorso di riflessione altre donne che vivono la stessa situazione. Ne è nata una ricerca, e questo libro ne racconta gli esiti.
Una diversa concezione del lavoro
La prima cosa importante che ho trovato in queste donne è stata la ricerca di un personale modo di realizzarsi nel lavoro senza appiattirsi su modelli dominanti, che sono modelli maschili.
Per questo ho pensato al titolo 'Donne senza guscio', perché le donne entrano in azienda senza la protezione di un'appartenenza consolidata a questo mondo. E perché accettano il rischio implicito nell'abbandonare gusci a loro inadatti, per far crescere un guscio nuovo che permetta nel lavoro una vita a loro misura.
Questa ricerca si fonda prima di tutto su una diversa concezione del lavoro e della carriera.
E qui ci avviciniamo al tema di questo incontro. Di cosa parliamo, allora, quando parliamo di lavoro?
Colpisce subito, cominciando a parlare di lavoro, del lavoro ideale per sé, non si indica tanto uno uno specifico ambito lavorativo, ma piuttosto si definiscono in modo prioritario le caratteristiche che questo lavoro deve avere. Ovvero: non importa con precisione cosa, ma si sa molto bene come.
Innanzitutto vediamo che la scelta di lavorare è data per scontata, non solo per un'autonomia economica, ma soprattutto come strumento di libertà nella vita. Il lavoro ideale è tale se, oltre la necessità di guadagnare, è una possibilità di autorealizzazione.
“Elemento indispensabile di realizzazione”.
“Consente di esprimere e valorizzare i propri talenti. Una condizione di libertà che ci permette di fare in maniera 'eccellente' proprio quel lavoro”.
“Un lavoro in cui si possa sentirsi realizzate e realizzare qualcosa”.
Certo, lavorare è in genere necessario, ma le aspettative della società non chiedono alla donna l'affermazione nel lavoro. Per l'uomo invece il modello sociale si fonda imprescindibilmente sul lavoro. Dunque per la donna la decisione di cercare un percorso professionale di alto profilo nasce da una forte motivazione personale. Si potrebbe dire che mentre un uomo deve, una donna sceglie di fare carriera. Per questo spesso il lavoro ideale viene definito 'creativo'.
“Se non è creativo il mio lavoro non mi piace e per essere creativo per forza deve uscire dalle maglie di un'organizzazione che tende all'autoconservazione”.
“Un lavoro creativo, che consente libertà di pensiero, libertà d’azione”.
“Autonomia : poter creare, applicare la fantasia alle attività, valutare tutte le possibilità e, se utile e proficuo, poter innovare”.
“Fare qualcosa che sento mio e a modo mio”.
Creatività non intesa in senso stretto. Un lavoro è 'creativo' se permette una espressione di sé e delle proprie capacità. Ecco così subito un bello squarcio negli stereotipi: che vedono il lavoro manageriale chiuso nel mondo della razionalità, della necessità e dell’aridità economica. E che, per contrappasso, intendono il lavoro 'creativo' come para-artistico, tutto pulsioni e sregolatezza.
Il lavoro manageriale, guardato dal punto di vista delle donne, può essere creativo.
Nel descrivere il lavoro ideale ricorre molto spesso, poi, la dimensione della libertà. Anche questa concezione -il lavoro come luogo di libertà- è un bello squarcio rispetto ad altri stereotipi, che intendono il lavoro come inevitabile necessità, limitazione della propria libertà.
Se guardiamo l’origine etimologica della parola ‘lavoro’ troviamo il senso di queste due concezioni. Una rimanda al lavoro inteso come attività dura e penosa (latino labor), o addirittura come tormento (francese travail, spagnolo trabajo, portoghese trabalho, dal nome di uno strumento di tortura, il tripallium). L’altra privilegia, invece, il riferimento all’energia (tedesco Werk, inglese work), alla creazione di opere, alla realizzazione di qualcosa, e anche di sé. E' questa concezione -la costruzione di sé attraverso le proprie opere- che troviamo nel pensiero delle donne.
Il che non significa che tutte vivano una condizione idilliaca nella realtà del lavoro, anzi. Ma significa qualcosa di molto creativo: per quanto stretti possano essere i vincoli del lavoro, la persona può trarne cose buone per sé e per gli altri.
Vediamo dunque una rappresentazione del lavoro che lascia ai margini il concetto di dovere come vincolo sociale, e pone al centro, invece, il piacere. La 'creativita' sta, non a caso, nel regno del piacere. E a queste donne il loro lavoro piace. Anzi, le appassiona.
“Mi sono appassionata al lavoro e mi ci sono buttata anima e corpo”.
“Sono presa da innamoramento e passione per le cose che faccio”.
“Sono entrata in una grande azienda come addetta al personale di stabilimento, ho scoperto il contatto con le persone. E' stato amore a prima vista ”.
“Dopo varie peripezie approdo a Ferrovie dello Stato. Ma ci si può innamorare, della ferrovia. Ed è quello che è successo a me; i processi, il sistema, la tecnologia, le persone molto competenti, appassionate…”.
“Può esserci un innamoramento metaforico per il proprio lavoro. E' quanto avviene a me. Io amo il mio lavoro, quello che mi dà l'opportunità di fare”.
'Passione', 'innamoramento: non stupiscono queste definizioni, data l'importanza che queste donne attribuiscono alla possibilità di oggettivare il sé nel lavoro. Per questo, parlando di lavoro, molte usano proprio il linguaggio dell’amore.
Ecco, dunque, quanto nel modo di vivere il lavoro, e lo specifico lavoro di manager, le donne sono vicine all'arte: espressione di sé, creatività, libertà, realizzare opere, realizzare se stesse.
Mi viene in mente una frase di Andy Warhol, “The best business is art”, un ottimo affare è arte (anche se facilmente viene tradotta con “l'arte è il miglior affare”, tanto è inusuale questa idea di considerare il lavoro, e il business, come arte).
Un'arte di cui faremmo volentieri a meno
Potrei fermarmi qui, ma bisogna aggiungere qualcosa. Perché, come ho detto, la realtà aziendale è spesso tutt'altro che valorizzante dei talenti e della passione che le donne mettono nel lavoro.
Così le donne devono sviluppare un'altra forma d'arte di cui farebbero volentieri a meno: affrontare e trovare ogni giorno un modo costruttivo superare una cultura aziendale ancora penalizzante per loro. Limitiamoci ad un rapido accenno.
Pensiamo ai modelli organizzativi, creati dagli uomini a loro misura, inadatti alle differenze che le donne portano in azienda. Soprattutto per l'uso del tempo, con la richiesta di una disponibilità illimitata, con rigidità e ritualità che prescindono dalle necessità reali, invece di concentrarsi sugli obiettivi e sui risultati .
Pensiamo alla maternità, che è ancora l'ostacolo principe alle prospettive di carriera, anche se in realtà vie praticabili ci sono (Ikea insegna). Così le donne vivono vite parallele, gestendo la complessità. Ma a prezzo di grandi fatiche non sempre inevitabili.
Pensiamo anche agli atti informali quotidiani, che tendono a ribadire che le donne non hanno lo stesso valore di un uomo, a ricondurle al loro essere donna prima di tutto e a prescindere dal ruolo professionale: il mancato utilizzo dei titoli di studio e gerarchici, la richiesta di lavori ancillari, la riconduzione al corpo, il doppio codice per cui quello che è apprezzato in uomo non va bene in una donna.
Di fronte a tutto questo le donne devono trovare ogni volta un modo di reagire costruttivamente ad ogni singolo episodio. Ci vuole coraggio, sangue freddo, prontezza di spirito, intelligenza. E vediamo spesso anche la capacità di agire anche sul livello simbolico, il cui potere -proprio come fa l'arte- può modificare la realtà.
“Appena assunta come responsabile del personale in una multinazionale, vado alla prima riunione con l’ head quarter: un operation meeting mensile. Siamo in dieci, io l’unica donna. Il grande capo guarda il mio capo, il mio capo capisce e girandosi verso di me dice: 'Prende nota lei, vero?' . Il sangue ribolle, l’ira fa fatica ad essere contenuta, ma dieci anni di lavoro qualcosa hanno insegnato. 'Certamente, con piacere' rispondo. Dopo un mese, di nuovo l'operation meeting. Prima che il grande capo inizi a parlare, guardo il collega alla mia destra e gli dico 'Oggi tocca a te prendere nota, vero?'. Il mio capo spalanca gli occhi, il mio collega è paonazzo. Io sorrido a tutti come se avessi detto la cosa più ovvia del mondo. E’ così che è nata l’abitudine di prendere nota a turno”.
Dunque vediamo un quadro ancora penalizzante per le donne. Eppure, la cosa più bella che ho trovato in queste donne, è non solo l'assenza di atteggiamenti vittimisti, ma il fatto che ognuna ha ha cominciato a mettere in atto tentativi di rottura delle regole aziendali che ostacolano le loro potenzialità, senza deleghe e senza alibi. Questa, per me, è veramente una coraggiosa opera dell'ingegno. E, rispecchiandoci nelle altre, si rafforza la fiducia di poter trovare percorsi praticabili nonostante i contesti sfavorevoli. Di poter realizzare la nostra opera d'arte: noi stesse nel nostro lavoro.

Luisa Pogliana

lunedì 3 maggio 2010

Incontro a Pavia a Donne in Fiera, con ABCD Dialogandonne

Un altro appuntamento per discutere del libro, organizzato da Amiche di ABCD Dialogandonne, condotto da Isabella Landi.
L'incontro avviene nell'ambito della fiera delle imprese femminili Donne in Fiera.

Anche di questo devo ringraziare Isabella, che si è molto impegnata in tutte queste iniziative sui temi del libro.
Sabato 8 maggio, ore 16.30, Palazzo Esposizioni, Piazzale Europa, Pavia.